Ostia, il Campidoglio promette più spiagge libere. Anche no, grazie

La Giunta Gualtieri approva il PUA (Piano di Utilizzazione degli arenili) e annuncia una rivoluzione sulle spiagge di Ostia. Ma siamo proprio sicuri che per il turismo sia la strada migliore?

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Demolizione di diversi stabilimenti balneari per trasformarli in spiagge libere. Abbattimento del “lungomuro” entro il 2026. Accorpamento di alcune concessioni balneari. Per la Giunta Gualtieri la formula per il rilancio turistico di Ostia passa per una rivoluzione sul lungomare.

La Giunta Gualtieri approva il PUA (Piano di Utilizzazione degli arenili) e annuncia una rivoluzione sulle spiagge di Ostia. Ma siamo proprio sicuri che per il turismo sia la strada migliore?

Lo strumento di questa rivoluzione si chiama PUA, acronimo di Piano di Utilizzazione degli Arenili, una sorta di Piano regolatore delle spiagge in attuazione delle indicazioni regionali e in coincidenza con il grande bado di evidenza pubblica per l’assegnazione delle concessioni balneari come ordinato dall’Unione Europea (leggi direttiva Bolkestein). Ne abbiamo tratteggiato i caratteri in questo articolo relativo alla conferenza stampa tenuta dal sindaco nella Sala delle Bandiere in Campidoglio.

Già la Giunta Raggi (leggi qui) aveva avviato il ragionamento adottando un atteggiamento punitivo verso i concessionari balneari (tanto da non averli nemmeno chiamati per un confronto come prasi politica vorrebbe). Adesso il boccino è passato nelle mani della Giunta Gualtieri, forte anche della resa incondizionata dell’omologo partitico X Municipio, che ha restituito le uniche deleghe decentrate, quelle sull’arenile (leggi qui).

Riassumendo alcuni dei punti che caratterizzeranno la rivoluzione annunciata dal documento, si prevede la riduzione da 71 a 25 concessioni balneari sia mediante accorpamento di alcuni stabilimenti sia demolizione di altri. Tra gli strafalcioni annunciati, forse per incompetenza o leggerezza, la volontà di tenere in piedi solo 7 stabilimenti e abbattere gli altri, molti dei quali di indiscutibile valenza storica, come ad esempio le Dune (ex Rex, 1935, architetto Enrico Del Debbio), Salus e Urbinati (1945, ing Mario Monaco), Cral Poste (1949), la Nuova Pineta (1964, ing Tito De Micheli).

Non si comprendono le ragioni per l’accorpamento di più stabilimenti in un’unica concessione se non nella logica di affidarne la gestione a gruppi economici importanti, probabilmente multinazionali, sottraendoli alla possibilità di una conduzione familiare, modello economico che finora ha garantito la sopravvivenza di un’industria turistica in equilibrio con il territorio.

La Regione Lazio nelle linee guida del PUA impone che la metà del fronte mare sia destinato a spiagge libere. Gualtieri ne prevede il 65% (includendo nel conto anche i cancelli di Castelporziano); ben il 50% all’interno del centro abitato. Infine, si promette l’abbattimento di recinzioni, muri e cancellate entro il 2026 (per pura coincidenza nell’ultimo anno dell’attuale consigliatura).

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Ora, ben venga la volontà di assicurare una maggiore fruibilità delle spiagge senza dover pagare. E ben vengano punizioni severe nei confronti di quei concessionari che si rifiutano di consentire il libero e gratuito accesso ai bagnanti fino al raggiungimento della battigia. Al contrario, nessuno può accettare il modello di spiaggia libera come quello che si sta offrendo ai bagnanti di Ostia: le spiagge libere sono una pattumiera, prive di regole e persino di marinai di salvataggio. Il Campidoglio, e per esso il X Municipio, hanno dimostrato incapacità di gestione delle spiagge libere: Castelporziano è distrutta e per certi versi impraticabile. I servizi igienici sono inutilizzabili, le dune di macchia mediterranea oltraggiate dai vandali, i parcheggi ostaggio di bande di ladri I gestori dei chioschi dei cancelli vivono nell’eterna precarietà e nella impossibilità di poter contribuire al decoro della spiaggia, strangolati da burocrazia quando non prepotenze dei burocrati (leggi qui).

Capocotta potrebbe essere un esempio da seguire riguardo alla collaborazione pubblico-privato ma un dato lascia riflettere sulla reale volontà di trasparenza e libera concorrenza invocata del Campidoglio, la stessa imposta per gli stabilimenti balneari: i gestori dei chioschi comunali, infatti, sono gli stessi dal 1997 e nessuno mai ha effettuato il promesso bando di evidenza pubblica per rinnovare le gestioni. Due pesi e due misure?

Le spiagge libere urbane sono indecenti. In alcune non sono stati neanche posizionati i marinai di salvataggio, in altri sono arrivati a stagione ampiamente inoltrata. In alcuni degli arenili pubblici sono sorte tendopoli abitate da senza fissa dimora che nessuno ha la volontà di rimuovere.

Siamo davvero sicuri che questa è l’immagine turistica che vogliamo offrire? Oppure siamo davanti a una scelta radicale ovvero Ostia è il mare dei romani meno abbienti e deve essere escluso dai circuiti turistici internazionali? La sfida con altre mète si vince sulla qualità dei servizi e non sulla loro economicità a meno che non si punti sul turismo straccione del low cost.

Ora, a fronte di questa inadeguatezza, va messo in conto che l’amministrazione pubblica allo stato attuale spende ogni stagione circa due milioni di euro per la gestione delle spiagge libere, una cifretta non da poco per un servizio affatto attrattivo sul piano turistico. Chi si illude che le spiagge libere così fatte siano un beneficio per la comunità, fatti i conti e visto il risultato, è fuori strada e non fa che soggiacere al vento di populismo che spira come sempre in vista degli appuntamenti elettorali.   

Piano arenili, il Campidoglio ridurrà gli stabilimenti da 70 a 25