Roma, se il sindaco mancato tradisce gli elettori

Dopo Calenda anche Michetti non siederà nel consiglio comunale. Gesta emblematiche della corsa al potere di candidati fantocci

Carlo Calenda Enrico Michetti candidati sindaco

Che il centrodestra non volesse vincere le elezioni amministrative di Roma era un sospetto più che radicato. L’abbandono del candidato di bandiera, sconfitto dal giudizio degli elettori, vuole dire molto di più: di Roma e del suo destino alla coalizione che fa capo a Giorgia Meloni e a Matteo Salvini, frega meno che niente.

Dopo Calenda anche Michetti non siederà nel consiglio comunale. Gesta emblematiche della corsa al potere di candidati fantocci

Così dopo Carlo Calenda, perdente candidato sindaco autonomo e indipendente, anche Enrico Michetti, ripudiato dal voto come aspirante primo cittadino del centrodestra, è arrivato il momento di dire no al posto in Consiglio comunale. Lo sconfitto del ballottaggio contro Roberto Gualtieri, comunica la sua scelta con una supercazzola dagli spalti social: “La mia decisione di dimettermi dalla carica di consigliere comunale nasce dalla sempre più pressante consapevolezza dell’importanza di continuare ad assicurare in via prioritaria – nell’attuale contesto storico politico ed economico amministrativo – la formazione, l’aggiornamento e l’assistenza ad amministratori e funzionari pubblici, ambito a cui dedicherò il massimo impegno per proseguire il percorso di valorizzazione delle risorse umane della Pubblica Amministrazione”.

In tal modo – anche nella qualità di Presidente della Fondazione Gazzetta Amministrativa della Repubblica Italiana – potrò continuare ad offrire un contributo civico alla buona amministrazione, indubbiamente superiore rispetto a quanto potrei garantire ove assumessi il ruolo politico di consigliere di opposizione” celia Michetti.

Che ha voluto dire Michetti? In buona sintesi che se avesse vinto, da primo cittadino avrebbe avuto il potere di cambiare le cose e di poter incidere sulla realtà cittadina adeguatamente rimborsato per l’incarico. Da consigliere, pure se leader dell’opposizione, “chi me lo fa fare?”. Con l’attuale potere delegato al Consiglio comunale e in presenza di più interessanti consulenze professionali nelle diverse amministrazioni, perchè dovrebbe restare? Forse per coerenza con le promesse fatte ai suoi elettori?

A parte il fatto che “Enrico Michetti ha limitato chi può commentare questo post”, com’è scritto in calce al suo post social, l’abbandono del secondo candidato sindaco sconfitto è testimonianza di una corsa al protagonismo e al potere che ha abortito qualsiasi interesse per la res publica.

Carlo Calenda si tiene la sua comoda e ben remunerata poltroncina in Europarlamento e non ci ha pensato un attimo a mettersi a fare le pulci alla nascente amministrazione di centrosinistra. Il colpo da assopigliatutto non ha funzionato e chissenefrega di Roma. Lo facciano quelli che non hanno nulla da fare.

Enrico Michetti, messo lì tardivamente dalla coalizione capeggiata da Giorgia Meloni, la quale non aveva la minima voglia di crearsi un delfino di personalità e carattere sulla piazza romana, fa ciao ciao prima ancora che l’assemblea consiliare si riunisca per la prima volta (giovedì 4 novembre, ore 14,30). Il buon Michetti ci ha provato, senza neanche tanta convinzione, ma i suoi sponsor politici non l’hanno sorretto adeguatamente forse consapevoli dell’impossibilità di rimettere in sesto lo sfaccio della Capitale in tempo per le elezioni politiche del 2023. Presentarsi a quell’appuntamento con una città ancora in ginocchio sui trasporti pubblici, sulla raccolta dei rifiuti, sul verde pubblico avvizzito, avrebbe sicuramente mortificato qualsiasi ambizione di premiarato nazionale.

Fantocci in mano a poteri politici nazionali, dunque? Sì, i candidati perdenti, sì. Magari inconsapevolmente Michetti. Decisamente responsabile e consapevole, invece, Calenda, per il quale è meglio occuparsi di questioni sovranazionali, dove le lobby multinazionali sono presenti ed attive, piuttosto che avere a che fare con mozioni, ordini del giorno, regolamenti che da consiglieri comunali sono solo pannicelli caldi rispetto allo strapotere di sindaco e assessori.

Certo che se Calenda e Michetti hanno pensato tra due anni di tornare a Roma a chiedere il voto per le politiche e per eventuali candidature di parte, si sbagliano di grosso. In tanti nella Capitale hanno la memoria corta (vedi l’elezione a sindaco di un esponente del partito che ha sfiduciato Marino davanti a un notaio) ma forse sono di più quelli che non dimenticano.