Assunti all’inizio della pandemia, ora vengono rimandati a casa come se il loro impegno non meritasse nemmeno un grazie. Sono 60 autisti che, per un anno, nel Lazio, hanno soccorso in auto-ambulanza i malati di covid. Il servizio è di Mara Azzarelli
Sessanta autisti delle ambulanze del 118 mandati via senza neanche un grazie, nonostante il loro sacrificio
In ogni parte d’Italia li abbiamo visti in fila davanti agli ospedali. Li abbiamo sentiti, per mesi, correre per salvare l’ennesimo paziente di covid in condizioni disperate.
Le loro sirene sono state, e sono, il macabro sottofondo di un periodo che difficilmente sarà possibile cancellare. Ma anche la misura di una battaglia che spesso si combatte nei primi minuti del soccorso.
Per affrontare la pandemia nel Lazio sono stati ingaggiati 60 autisti. Lavoratori che sono andati a rinforzare i ranghi di un esercito, quello dell’Ares 118, impreparato davanti a un’epidemia di queste dimensioni.
Gli stessi hanno lavorato, corso, si sono ammalati. Hanno infettato i loro cari. Salvo, poi, essere liquidati in questi giorni. Perché a fronte di nuove assunzioni, fatte con un concorso pubblico, il loro lavoro e la loro esperienza non servono più. Si pensa.
“La figura dell’autista soccorritore è una figura molto importante. Sulle spalle senti tutto il peso della responsabilità. Hai due persone del tuo equipaggio. Lavori 12 ore al giorno quando ti dice bene: perché ci sono stati anche momenti in cui abbiamo vissuto 14, 16, 18, 20 ore insieme, fuori al Pronto Soccorso con i nostri mezzi, bloccati con i pazienti covid all’interno del nostro mezzo. Abbiamo fatto file e file interminabili”, racconta uno dei soccorritori del 118.
Lorenzo, Gianbasilio e Cristiano raccontano con orgoglio le loro corse verso gli ospedali del Lazio. Delle vite salvate. Degli applausi dai balconi, dei cittadini. Delle lettere, tante lettere, di ringraziamento da parte delle persone comuni. Ma anche della formazione professionale per cui sono stati spesi soldi e che oggi invece di essere buttata al secchio potrebbe essere impiegata altrove.
“Neanche io, a quanto pare, servo più. Hanno dato la giustificazione di un concorso, una graduatoria in atto, che è reale. L’unica cosa che chiediamo è di valorizzare e non mettere al dimenticatoio l’investimento fatto in termini economici da parte della sanità pubblica”, spiega un altro soccorritore del 118.
Questi tre autisti, come i loro colleghi, a oggi sono di fatto senza un lavoro. Un epilogo amaro per chi, insieme a tanti altri lavoratori, semmai andava ricambiato con la stima e la gratitudine di un Paese intero.
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