Green pass, obbligo di una terza dose di vaccino che non c’è

Allarme del presidente della Società medicina d’urgenza SIMEU, Giulio Maria Ricciuto: “Rischio di un’estate senza operatori sanitari”

Si rischia un’estate senza operatori sanitari: colpa del Green pass e, forse, anche dell’incognita rappresentata dalla validità dei vaccini. Il passaporto verde, che consente non solo di viaggiare ma certifica anche la possibilità di stare a contatto nei locali a rischio, per medici e infermieri ospedalieri vaccinati a cavallo tra gennaio e febbraio, scadrà dopo sei mesi, quindi tra luglio e agosto. E da quel momento cosa accadrà?

Allarme del presidente della Società medicina d’urgenza SIMEU, Giulio Maria Ricciuto: “Rischio di un’estate senza operatori sanitari”

A lanciare l’allarme è Giulio Maria Ricciuto, presidente della Società Italiana Medicina d’Emergenza e Urgenza SIMEU, nonché primario del Pronto soccorso dell’ospedale “G.B. Grassi”. In buona sostanza, la norma sul Green pass gli assegnano una scadenza di sei mesi dalla vaccinazione. E da quel momento o il paziente si vaccina con una terza dose, con effetti ancora non valutati sul piano scientifico, oppure non può viaggiare e fruire di servizi in locali al chiuso. Ospedali compresi.

A cavalo tra gennaio e febbraio tutti gli operatori sanitari hanno completato il ciclo vaccinale –segnala Ricciuto, intervistato a Rai News sul tema – Abbiamo appena appreso che altri Paesi hanno giustamente seguito l’attuale evidenza scientifica che porta ad assegnare da 9 a 12 mesi la validità del vaccino e quindi del Green pass dal completamento del ciclo iniettivo. Se il Green Pass in Italia ha una validità di sei mesi, significa che noi sanitari dovremo sottoporci in estate ad una nuova vaccinazione. Ma con quale vaccino? Con lo stesso di adesso o con il nuovo di là da venire che presenterà un Rna-messaggero delle forme varianti con le quali avremo contatto nei prossimi mesi? Fare una terza dose dello stesso vaccino è una vera incognita, non ha alcun senso clinico, in quanto non esiste letteratura scientifica specifica per questa procedura.

Come operatori sanitari – prosegue Ricciuto – abbiamo il dovere di essere vaccinati: a luglio-agosto ma, stante l’attuale situazione, noi medici e infermieri non potremo stare a contatto con i pazienti e non potremo spostarci dalla nostra regione”.

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L’intervista concessa da Giulio Maria Ricciuto a Rai News

Attenzione massima tra le due dosi

Siamo profondamente preocccupati delle riaperture in presenza di una bassissima percentuale di vaccinati con due dosi – avvisa Ricciuto – perché, voglio ricordare, che il periodo che tra la prima e la seconda inoculazione è molto delicato. In quei giorni, infatti, avere un contatto con il virus potrebbe essere forierio di varianti del virus indotte proprio dal vaccino. Quindi mascherine e distanze vanno tenute e osservate con maggior rigore”.

Infine, un segnale positivo. “Il livello di anticorpi, anche se basso, non equivale automaticamente alla mancanza di copertura immunitaria – conclude Ricciuto – in quanto i meccanismi di difesa vanno oltre la mera presenza di anticorpi che dosiamo. La letteratura mostra ampiamente casi di pazienti con pochi anticorpi a distanza dalla vaccinazione ma quei pochi linfociti specifici presenti difendono con efficacia il corpo dall’infezione da covid”.

Le conferme di Pfizer

Alla fine di marzo, secondo i report del governo, era stato vaccinato il 76,28% dei sanitari con prima e seconda dose, pari a 1.378.655 persone. Basti pensare che al 9 gennaio 2021 avevano già ricevuto la prima dose di vaccino 414mila sanitari, venti giorni dopo avrebbero ricevuto la seconda e così via. Ad oggi, 24 aprile, il dato è salito a 3.163.167 persone tra medici, infermieri e personale sanitario, non tutti ovviamente vaccinati tra gennaio e febbraio e non tutti con entrambe le dosi, ma la maggior parte. Gli stessi che da giugno in poi potrebbero trovarsi progressivamente a non poter più operare nelle strutture sanitarie senza un terzo richiamo.

A confermare questa tempistica è stato lo stesso CEO di Pfizer, Albert Bourla, che ai microfoni dell’emittente Cnbc ha spiegato che “ci sarà bisogno di una terza dose più o meno tra 6 e 12 mesi. Da lì, poi, ci sarà un richiamo annuale. Ma tutto deve essere confermato. E, di nuovo, le varianti avranno un ruolo fondamentale“. Il tutto sempre che si riesca a stare al passo con le forniture. Il caso AstraZeneca insegna.

redazione@canaledieci.it

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