Jvo, chiude la sua barberia: 60 anni di tagli (frangette alla Beatles incluse)

Un po’ Charles Bronson, un po’ Tomas Milian. Ivo Di Serafino, decano dei barbieri di Roma, il suo look lo ha sempre voluto così: con una cascata di capelli ricci e i baffi spioventi. Ma le mode le ha vissute e anticipate tutte, con il pettine e le forbici sempre pronti ad acconciare i clienti secondo i loro desideri.

Tanti i ricordi vissuti da Ivo con il cognato Vito al timone di una storica barberia che lasciata in eredità ai più giovani

In sessant’anni di onorata carriera è stato testimone dello sviluppo inarrestabile di Roma. Ivo, ormai prossimo agli ottant’anni, ha un cassetto pieno di ricordi, in cima ai quali svetta il lunghissimo sodalizio con il cognato Vito Alessandro, e non c’è residente del quartiere Portuense che non abbia sentito parlare di lui e del suo negozio di parrucchiere, all’angolo tra via Oderisi da Gubbio e via Francesco Grimaldi, a due passi da viale Marconi.

Ivo da Campli, piccolo comune abruzzese in provincia di Teramo, da cui partì nel lontano 1956 con 5mila lire in tasca, provento della vendita della bicicletta da corsa in sella alla quale sognava di essere come il grande campione, Fausto Coppi, e che usava da apprendista, tutti i giorni, quando faceva la spola con Civitella del Tronto a venti chilometri dal mare e imparava il mestiere che gli ha cambiato la vita.

Non aveva valigia Ivo, quando, nel dopoguerra arrivò a Roma in cerca di fortuna e pieno di speranze. Sotto braccio aveva solo un materasso, perché una brandina dove dormire si poteva sempre trovare, mentre un letto vero e prorpio non era affatto detto. Un materasso che gli permise di vivere nel quartiere del Pigneto, a due passi dal negozio dove trovò il primo ingaggio, e tagliava i capelli ai ragazzi e agli uomini che vivevano, praticamente come cavernicoli, a ridosso dell’acquedotto Felice in via del Mandrione.

La parete in fondo, tinteggiata di bianco, si prendeva in prestito dagli antichi romani, mentre il resto della baracca, con i suoi tetti di lamiera e i bandoni laterali che facevano da divisorio con quelle dei vicini, venivano su “quasi” per germinazione spontanea.

Appena giunto a Roma, Ivo lavorò a stretto contatto con i ragazzi di vita raccontati da Pier Paolo Pasolini

La città, in quelle zone semicentrali era tutta campagna. Ma una campagna piena di gru, intente a costruire i palazzi alveare della grande periferia. La povertà non negava la speranza. Proprio come raccontò, Pier Paolo Pasolini. in quegli anni nei suoi romanzi e nei suoi film sui “ragazzi di vita“. Gli stessi ragazzi che, dal bar Necci in via Fanfulla da Lodi, dove furono girate alcune scene, facevano le comparse e spendevano parte dei loro guadagni per andare a farsi barba e capelli proprio da Ivo.

Il 17 febbraio del 1965, il decano dei barbieri di Roma, decise di fare il salto di qualità. Un giorno impresso nella sua memoria perché, spiega, “proprio in quella data apriva il Piper un locale notturno allora sconosciuto, ma destinato a diventare in poco tempo un luogo famoso dove si ballava e si sentiva la musica in arrivo dagli Stati Uniti e dalla Gran Bretagna“.

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Ivo Di Serafino al centro del suo team di lavoro. Primo da sinistra il cognato, Vito Alessandro

Ed è a cavallo del rock and roll e del pop che l’onda lunga del fenomeno Beatles trasformò profondamente la moda e lo stile cui si ispiravano le nuove generazioni. Un terremoto che cambiò anche il mestiere di Ivo “improvvisamente i capelli corti fatti di sfumature create, come si trattasse di cesellare un gioiello, con l’uso di affilatissimi rasoi e non utilizzando le sofisticatissime macchinette elettriche di oggi, si allungarono -ricorda il barbiere- dovevano essere lisci, lunghi, con i frangettoni che contraddistinguevano i baronetti di Abbey Road, insieme alle camice con i colletti larghi, ai pantaloni a zampa di elefante e agli stivaletti con il tacco alto, alla bolero, e fu così che le forbici andarono, simbolicamente in pensione. Gli uomini allora volevano soltanto esibire capigliature lunghe e perfettamente stirate“.

Le mode cambiavano rapidamente e per restare sul mercato bisognava saperle anticipare

Per Ivo, sempre attento all’avvento dei nuovi stili e ai cambiamenti in atto nella società, si trattò di anticipare i tempi. I ragazzi che avevano iniziato a frequentare le discoteche arrivavano da lui a frotte, il venerdì pomeriggio, pronti per la “stiratura” che esibivano il sabato sera nei locali dove, poi si scatenavano scompigliando quelle acconciature. Ed ecco che i barbieri di Roma iniziarono a lavorare anche la domenica mattina, quando i fan di John Lennon e di Paul McCartney tornavano per farsi sistemare la capigliatura di nuovo ondulata e fuori moda. Non era facile accontentarli: i phon erano ancora apparecchi rudimentali e i Termozeta, ricercati sul mercato perché più sofisticati, non erano certo le efficientissime piastre di oggi, ci voleva inventiva e abilità per ottenere il risultato voluto dalla clientela.

Poi i sindacati tirarono una riga dritta -prosegue Ivo- c’erano problemi con i tariffari e con chi non condivideva uno stile e ritmi di lavoro anche nei giorni festivi che oggi sono considerati assolutamente normali dai negozi, mentre nuove mode si stava già affacciando all’orizzonte“.

L’epoca di Nashville, del nudismo, dei figli dei fiori spinse, paradossalmente, ancora più in alto l’asticella delle prestazioni. Ivo poteva però contare su una vera e propria squadra di collaboratori. Erano in nove, tra dipendenti e apprendisti e del team faceva parte anche suo cognato, Vito Alessandro, fresco sposo della sorella della moglie di Ivo. Tra i due è nato un sodalizio che li ha resi gemelli “diversi”, due amici innanzitutto, ma anche due soci capaci di reinventare. anno dopo anno, un lavoro delicato che si regge sulla capacità di innovarsi e, spesso, di sapersi intendere con uno sguardo.

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Ivo Di Serafino e il cognato, Vito Alessandro, alla consegna di un premio di riconoscimento alla carriera

Il negozio di parrucchiere in via Oderisi da Gubbio, intanto, aumentava la propria clientela maschile e femminile che imboccò, sorprendentemente, viste le differenze di sesso e di gusti, strade commerciali convergenti. I maschi cercavano di assomigliare a Lucio Battisti e all’outfit dal taglio lungo di stile Hippy si affiancò il rito inverso della permanente per arricciare i capelli.

Gli anni Ottanta: opulenza ma anche Banda della Magliana

Si tagliava poco rispetto agli anni Cinquanta e Sessanta – ricorda Ivo – qualche spuntatina quà e là ma, bisognava fare attenzione, scalare i capelli con il raschietto e lo sfilzino, molto affilato, per riuscire a ottenere l’effetto voluto. Sono stati anni indimenticabili, anni in cui le persone potevano guardare con fiducia al futuro mentre noi artigiani cercavamo di prestare loro la massima attenzione e il massimo confort. Avevo un carrello bar per offrire un caffè, o una bibita fresca d’estate sempre con il sorriso sulle labbra e rompere il ghiaccio, perché il lavoro è solo l’ultima cosa, mentre la prima e più importante è l’accoglienza, quasi sparita, oggi, in un mondo circondato dalla freddezza di tanti“.

Ma gli anni Ottanta sono anche gli anni della banda della Magliana, un quartiere che, quando Ivo aprì il suo locale in zona Marconi, praticamente, neppure esisteva. Il ponte era stato lasciato incompiuto durante l’era del fascismo e, per andare a sud di Roma, bisognava andare a ritroso e attraversare il ponte di Ferro all’Ostiense, vicino al gazometro e al mattatoio.

Il barbiere, nell’ottica di chi vive di illeciti e di crimini, deve essere persona di assoluta fiducia, se non altro perché, anche se in via del tutto pacifica, usa forbici e rasoi in modo del tutto artigianale ma pur sempre molto vicino al collo dei suoi clienti. E la fiducia non era comunque una garanzia assoluta, stando al racconto di tanti episodi di cronaca nera accaduti anche oltre Oceano come quando, il 25 ottobre del 1957, proprio nel negozio di barberia annesso al Central Park Hotel sulla Quinta Strada a New York, clan rivali eliminarono il gangster di Cosa Nostra, Albert Anastasia. Su questo capitolo della sua lunga esperienza di lavoro Ivo sorvola ma ricorda di quando, talvolta, capitò anche che a farsi tagliare i capelli da lui venissero “capi e sottocapi” di certe organizzazioni ben conosciute ai commissariati di polizia e alle caserme dei carabinieri.

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Da Giorgio Chinaglia a Vincenzino D’Amico

I suoi ricordi si accendono quando parla di un altro genere di clientela famosa. I calciatori della Lazio, da Vincenzino D’Amico, scomparso da poco e che si faceva shampoo e barba nel negozio di Ivo, a Nando Viola il centrocampista piemontese che morì in un incidente stradale ai Parioli nel 2001 mentre era alla guida del suo scooter, a Roberto Badiani che giocò, nella squadra biancoceleste dal 1974 al 1979.

Una galleria di incontri a cui Ivo tiene molto e nella quale non poteva mancare, Giorgio Chinaglia, che incontrò dopo l’abbandono delle scene calcistiche e quando l’ex bomber biancoceleste scriveva articoli di sport, uno dei quali dedicato proprio al figlio di Ivo, Patrizio, il quale non divenne un campione ma, oggi, è titolare di un negozio di parrucchiere vicino a quello del padre. “Non ho mai nascosto di essere un tifoso laziale -puntualizza Ivo-i clienti romanisti mi provocavano dicendo che lo ero solo per il fatto di essere un burino di provincia, anche se non mi risulta che tutti i tifosi della Roma venissero soltanto da ambienti altolocati“.

Gli anni Ottanta se ne andarono in un baleno. Quelli che resteranno, almeno per la zona di viale Marconi, non sono esclusivamente ricordi belli e, tra questi ultimi, infatti c’è quello della rapina compiuta da un commando delle Brigate Rosse in via Prati di Papa, a due passi dal negozio di Ivo. Era il giorno di San Valentino, il 14 febbraio 1987, quando i terroristi della stella a cinque punte uccisero a raffiche di mitra gli agenti di polizia, Rolando Lanari, e Giuseppe Scravaglieri, all’interno di una volante di scorta a un furgone portavalori delle Poste Italiane. “Sentimmo la sparatoria, uscimmo in strada ma la zona era già stata isolata dai carabinieri, i segni dei proiettili -ricorda Ivo- sono rimasti sino a poco tempo fa impressi all’altezza del primo piano di un edificio molto alto“.

La decisione di riporre pettine e forbici in un cassetto

Poche settimane orsono la decisione di riporre le forbici e il pettine in un cassetto. “E’ venuto il momento di fare largo ai giovani -dice senza rimpianti Ivo- inclusa mia figlia Francesca che si occupa di fare consulenza alle donne che le chiedono consigli su come trattare i capelli“. Consulenza tricologica, anche questa una professione che, quando Ivo aprì il suo locale, non esisteva. Una novità che il barbiere di via Oderisi da Gubbio ha saputo anticipare per far fare un ulteriore salto di qualità a questo antichissimo mestiere.
Non tutte le donne, spiega con perizia, hanno capigliature adatte a realizzare ciò che vedono sulle riviste patinate o sulla testa delle attrici. Così come una tintura sbagliata può irritare la pelle, oppure bruciare capelli quando a una tintura se ne vuole sostituire una nuova. Questione di accoglienza, di attenzione ai veri bisogni del cliente.

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Ma quello di Ivo non è stato un vero addio. Esclude il ritorno, a differenza di quanto dicono i versi della famosa canzone di Franco Califano, ma se a chiederglielo sono pochi, selezionati e affezionati clienti lui, dall’Infernetto, dove vive prende la macchina e fa rotta verso via Oderisi da Gubbio. Recupera dal cassetto le forbici e il pettine e torna, di nuovo, a sognare.