Piano Nazionale Aids: dati preoccupanti collegati alla pandemia di Covid 19

Aids in Italia: troppi ritardi nella comunicazione, accesso ai test e percorsi di presa in carico dei pazienti

In Italia, si stima siano circa 120.000 le persone affette da Hiv, di queste quasi il 20% è ancora in attesa di fare il test, con il rischio di aggravamento dell’infezione e di contagio ad altri. Dal monitoraggio Bocconi sullo stato di attuazione del Piano Nazionale Aids 2017-19, è emersa a livello nazionale una grande diversità di intervento sul problema tra le varie regioni. Con il Covid, la gestione dei casi ha subito un’ulteriore rallentamento.

Aids in Italia: troppi ritardi nella comunicazione, accesso ai test e percorsi di presa in carico dei pazienti

Solo la metà delle regioni italiane ha recepito e applicato il Piano di intervento nazionale per la lotta all’HIV. Una gestione a macchia di leopardo sul territorio, che ha provocato in molte delle regioni monitorate nel progetto Apri-Aids Plan Regional Implementation, notevoli ritardi nella comunicazione, nell’accesso ai test e di conseguenza nell’accesso ai percorsi di cura per i pazienti.

Quel che è emerso dallo studio della SDA Bocconi School of Management effettuato con il contributo di Gilead Sciences, è che nel nostro paese sono 120.000 le persone affette da Hiv, in 100.000 delle quali la patologia è stata diagnosticata (l’83% dei casi), mentre in 20.000, cioè circa il 17%, è ancora in attesa di fare il test, e quindi nel rischio di un aggravamento dell’infezione e di contagio di altri soggetti.

I risultati presentati nel corso dell’evento “L’HIV 40 anni dopo” fa trasparire purtroppo ancora oggi i diversi approcci e priorità regionali nei confronti della malattia. Ed in particolare nei dati riferiti per il 2019, troviamo che solo nel 38% delle Regioni era attiva la Commissione regionale Aids, e solo il 37% aveva realizzato campagne di comunicazione ad hoc. Ma, dato ancor più sconfortante, solo il 28% aveva definito un Percorso diagnostico terapeutico assistenziale (Pdta) per l’Hiv.

Su questi ritardi, il primo a pronunciarsi è stato il professore Claudio M. Mastroianni, presidente Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali (Simit) e professore ordinario di Malattie Infettive presso Sapienza Università Roma, auspicando un modello rafforzato di presa in carico dei pazienti, dalla diagnosi, all’accesso alle cure e fino alla gestione del follow up, con un’integrazione dei centri specialisti con la rete territoriale.

Chiaramente, così come per il rallentamento dell’assistenza su altre patologie, aggravato dal deficit collegato alla capacità delle strutture ospedaliere riconvertite Covid (Leggi qui), nello stesso modo, la pandemia ha rappresentato un ostacolo anche per il trattamento di una patologia cronica come l’HIV, su cui, va evidenziato, pesano maggiormente i ritardi di presa in carico.

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