Elena Percivaldi è una storica e scrittrice molto conosciuta e apprezzata sia in Italia che all’estero. Saggista, divulgatrice e giornalista, cura mostre storico-archeologiche e partecipa come relatore a convegni e seminari in tutta Europa.
Il suo ambito di ricerca comprende la storia, la storia dell’arte e l’archeologia, con particolare riferimento all’età tardo-antica e all’alto Medioevo.
Elena Percivaldi ha all’attivo numerose pubblicazioni di successo, opere immortali, riproposte in nuove edizioni e tradotte in varie lingue. “La vita segreta del Medioevo“, edito nel 2013, è un vero e proprio bestseller. Molteplici le attività di ricerca e le collaborazioni che da sempre la vedono impegnata su numerosi “fronti culturali”.
Cito tra le tante, gli interventi mandati in onda su RaiStoria, la direzione del Notiziario “Storie & Archeostorie” e la partecipazione come ospite regolare del prestigioso Festival del Medioevo di Gubbio. Nel 2009, inoltre, Elena Percivaldi ha vinto il Premio Italia Medievale con l’edizione tradotta e commentata del classico latino altomedievale “La navigazione di San Brandano”.
“Ai giorni nostri, la Storia ha ancora una propria valenza?“, questa è una domanda che in molti si pongono e che trova una risposta nelle parole di chi ha dedicato la propria esistenza allo studio e alla ricerca…
“Io credo di sì, ma tenendo ben saldo un principio per me fondamentale, quello di evitare strumentalizzazioni e di astenersi dal piegare il passato a interpretazioni ideologiche, qualunque esse siano. Uno storico deve studiare il passato, cercare di comprenderlo grazie alla conoscenza (e all’interpretazione corretta) delle fonti e dei contesti e, se possibile, insegnarlo, ma senza giudicarlo o volerlo attualizzare ad ogni costo. Altrimenti si rischia di cadere nelle grottesche situazioni che purtroppo leggiamo sulla stampa sempre più spesso: ostracismi, demonizzazioni, cancellazioni, censure dettate da un ideologia “politically correct” degenerata in caccia alle streghe ottusa e violenta che non si rivela certo migliore o più virtuosa di ciò che si vorrebbe condannare…
Siffatta “damnatio memoriae” non solo è stupida, ma è anche controproducente: cancellare il passato significa semplicemente dimenticarlo e impedire di studiarlo, analizzando così razionalmente anche gli errori e gli orrori commessi al fine di non ripeterli. Personalmente studio la storia e provo a raccontarla occupandomi in particolare di divulgazione perché credo che la conoscenza diffusa della storia, intesa non come mero susseguirsi nozionistico di nomi, fatti e date ma come comprensione dei grandi fenomeni e delle dinamiche che l’hanno determinata, sia una parte essenziale e imprescindibile del bagaglio culturale di ognuno di noi.
Sono convinta che la conoscenza della storia possa aiutarci ad affrontare le tante sfide imposte dalla contemporaneità, come la globalizzazione e il confronto con mondi e culture diverse. Solo chi conosce bene se stesso può confrontarsi con gli altri senza paura né pregiudizi, magari arricchendosi dal confronto senza che ciò comporti necessariamente il negare o il dimenticare quello che, nel bene e nel male, è ed è stato“, spiega la Dott.ssa Elena Percivaldi.
Da storica, è d’accordo con la visione dei “corsi e ricorsi storici”, un ciclo eterno di cadute e ripartenze, di eventi che si ripetono sempre simili, così come riteneva Gian Battista Vico?
“La storia è un susseguirsi di dinamiche estremamente complesse e sempre diverse, che risentono del mutare dei contesti e delle innumerevoli varianti che si presentano volta per volta; ciò nonostante, forse è possibile individuare alcune costanti che si ripetono e che fanno parte della natura stessa dell’uomo e della sua maniera di rapportarsi con gli altri. Non so se si possa ritenere fino in fondo che la storia sia “maestra di vita”, come scriveva Cicerone. Sono però assolutamente convinta della necessità della memoria, perché senza memoria, per dirla sempre con Cicerone, l’uomo non è che “una bestia dotata di bastone”. E nelle tenebre che lo avvolgono vivrà immerso nella paura e nel terrore, sentimenti che non potranno che generare sospetto, intolleranza, odio e violenza.”
Quali sono i personaggi storici che l’hanno ispirata, accompagnandola fin dall’inizio nel suo percorso di crescita e di studio?
“Posso dire la verità? Non ho mai avuto “idoli”, se così si può dire, in questo senso. Molta curiosità, questo sì, e una passione forte per l’archeologia e la storia sin da ragazzina. Confesso che più delle biografie dei singoli, per quanto grandi e importanti, a destare il mio interesse sono sempre stati i gesti della vita quotidiana, i pensieri, i sistemi di valori, le ritualità, le credenze, il modo di ragionare di chi ha vissuto nel passato. Tutte cose molto difficili, se non impossibili, da avvicinare e comprendere appieno data la scarsità e la problematicità delle fonti e il tempo che ci separa. Cercare di approcciarle ci spinge però ad analizzare a fondo anche il nostro retaggio culturale, che a volte può essere anche scomodo e difficile da accettare. E di certo ciò può fornire utili spunti di riflessione sull’attualità e sulle problematiche sollevate dal mondo contemporaneo.”
“La vita segreta del Medioevo” è un saggio che ha fatto “epoca”. A quasi 10 anni dalla sua prima pubblicazione, cosa le è rimasto dentro dell’esperienza legata a questa opera?
“Beh, scrivere quel saggio è stato un po’ una sfida perché era veramente difficile confrontarmi con un periodo storico tanto lungo, contraddittorio e complesso e tentare di condensarne i caratteri in un testo che fosse chiaro e nel contempo godibile e ricco di particolari e aneddoti. Giocoforza ho potuto toccare solo alcuni aspetti dei tanti possibili, ma ho scelto quelli che ritenevo fondamentali privilegiando i momenti di vita quotidiana. Lavorarci è stato faticoso non solo per la mole di dati ma anche perché si trattava del primo libro per Newton Compton (poi ne sono seguiti altri), una casa editrice con una vasta diffusione.
Mi ha però dato grande soddisfazione vederne realizzare varie edizioni e ristampe e, soprattutto, la traduzione in portoghese brasiliano: dopo la pubblicazione ho ricevuto vari messaggi di apprezzamento anche dal Brasile e sinceramente non me l’aspettavo. A distanza di ormai quasi un decennio probabilmente farei qualche aggiustamento qua e là e alcune parti le approfondirei di più rispetto ad altre. Ma in ogni caso è stato il primo libro di vasto respiro sul Medioevo che ho scritto, e vederlo arrivare nella rosa dei finalisti del Premio Italia Medievale – dopo averlo vinto nel 2009 con la mia edizione della “Navigatio Sancti Brendani” – è stata una sorpresa e un motivo di grande orgoglio.”
L’epoca medievale fu funestata dalla terribile peste del 1347. Come vive una storica, questa particolare fase della nostra esistenza, caratterizzata da una pandemia che ricorda molto il passato dell’uomo?
“In tutta sincerità non amo molto fare paragoni e tracciare parallelismi tra passato ed età contemporanea perché i presupposti, le situazioni e in contesti sono sempre molto diversi. Di certo l’attuale pandemia, per quanto grave, non può assolutamente essere paragonata – e per fortuna! – a quella di Peste Nera del 1347-1351, che al di là dell’agente eziologico diverso (batterio e non virus) fece decine di milioni di vittime. Allora la situazione igienica e sanitaria era a dir poco precaria, le conoscenze mediche superficiali, i rimedi naif e la profilassi inesistente, quindi fu una strage senza precedenti.
Ciò che ci accomuna semmai è, purtroppo, il permanere di una serie di atteggiamenti inquietanti, dal clima di sospetto e delazione alla caccia all’untore, dalla stigma del presunto colpevole al complottismo più becero, dal proliferare incontrollato di fake news e delle teorie antiscientifiche alla ricerca di presunti rimedi offerti da veri e propri ciarlatani. Con l’aggravante che nel Medioevo certe nozioni non si avevano e si brancolava nel buio mentre oggi la scienza, grazie alla ricerca e ai vaccini, può farci uscire dall’impasse.”
Il 2020 l’ha vista impegnata in due opere dedicate alla “gens Langobardorum”. Lei ritiene che i Longobardi abbiano il giusto riconoscimento per la loro importanza alle “radici della nostra Storia”?
“Probabilmente non ancora. Prima del 2011, anno in cui il sito seriale “I Longobardi in Italia” è stato riconosciuto Patrimonio dell’Umanità Unesco, i Longobardi non erano nemmeno particolarmente noti o apprezzati dal vasto pubblico, erano più materia da specialisti o appassionati: ricordo ad esempio negli anni Novanta, nel periodo in cui li studiavo all’Università, quanto difficile fosse trovare bibliografia su di loro a parte alcuni saggi specialistici, pochi cataloghi di importanti mostre e i “mitici” studi di Gian Piero Bognetti, il grande “scopritore” di Castelseprio.
Da allora di strada ne è stata fatta parecchia e non solo gli studi in tutti gli ambiti hanno fatto passi da gigante, ma anche il pubblico ha iniziato a percepirli non più come una presenza allogena, bellicosa, rozza e problematica – Manzoni docet! – ma come una componente importante dell’identità culturale del nostro Paese. Nel mio piccolo ho provato a raccontarli con pubblicazioni, articoli, conferenze ed eventi, in quest’ultimo caso avvalendomi anche della collaborazione di alcuni ottimi gruppi di rievocazione e ricostruzione storica. Ma credo che ci sia ancora molto da fare: pandemia permettendo, anche io cercherò di dare il mio contributo in prima linea e alcuni eventi li ho già programmati.”
Ho molto apprezzato le sue pubblicazioni alla scoperta dei castelli italiani. Tra le centinaia di strutture analizzate, c’è ne una che per la sua storia l’ha colpita in particolar modo?
“Non ce n’è uno in particolare ma ce ne sono parecchi perché ogni castello ha la sua storia e il suo genius loci, oppure è stato teatro di vicende uniche o ancora di eventi in vario modo degni di nota. Una cosa però vorrei sottolineare. Spesso si visitano con l’idea di fare un “tuffo nel Medioevo”, espressione che non amo affatto perché abusata e in quanto promette una cosa di fatto impossibile. Quello che vediamo oggi è infatti il più delle volte il frutto di sistemazioni o restauri otto-novecenteschi (e quindi moderni) che ne hanno “fissato” un’immagine romantica e sognante, ma in gran parte sbagliata, consegnandola così ai posteri. I castelli delle “origini”, quelli tardo-antichi, erano costruzioni molto spartane con qualche torre di avvistamento e poche murature; i castelli di grandi dimensioni, con alte mura e possenti torrioni sono frutto di riedificazioni successive avvenute dal XIII secolo in poi; dal Cinquecento in poi molti si trasformano in dimora aristocratica, altri cadono in rovina e vengono dimenticati.
I castelli sono quindi edifici complessi, in costante divenire. Il che, intendiamoci, non ne compromette affatto il fascino, anzi lo accresce perché la sfida è proprio quella di coglierne le trasformazioni e di vedere come si sono adattati al mutare delle circostanze politiche, alle mode e al trascorrere naturale del tempo. Al di là della loro bellezza, a colpirmi è la loro capacità di resistere al passare dei secoli, alle distruzioni, ai terremoti, agli assedi, ai cambiamenti di destinazione e di farsi testimoni di una storia complessa e plurisecolare. Monumento e documento insieme, quindi. Questa è la ragione per cui a mio avviso vale la pena di studiarli.”
Da sempre presente in Festival ed eventi storici in tutta Italia e non solo, presumo che lei abbia dovuto rinunciare a molti appuntamenti a causa del periodo difficile che stiamo vivendo. Come ha organizzato dal punto di vista culturale il prossimo futuro?
“Purtroppo la pandemia ha colpito duramente il settore della cultura e anche della divulgazione, facendo saltare tantissimi eventi, presentazioni, mostre, convegni, pubblicazioni, rievocazioni, appuntamenti. Insomma, un vero e proprio disastro che ha rischiato seriamente di mettere in ginocchio (e in certi casi c’è riuscito…) un settore già tradizionalmente ignorato e maltrattato da chi governa. Personalmente durante il lockdown mi sono dedicata alla scrittura di vari volumi, sicché nell’estate 2020 sono usciti per le Edizioni del Capricorno due miei libri sui castelli (Toscana ed Emilia Romagna) e per Diarkos “I Longobardi. Un popolo alle radici della nostra Storia”, attualmente nella cinquina dei finalisti del Premio Italia Medievale 2021.
Dall’autunno ad oggi ho lavorato ad altri progetti, sempre sui castelli, quindi in primavera è uscito il volume sulle fortificazioni del Veneto mentre quello dedicato ai manieri del Friuli Venezia Giulia è in avanzata fase di lavorazione editoriale e dovrebbe vedere le librerie entro l’estate. Ho poi scritto un libro dedicato al patrimonio monumentale, artistico e archeologico dei Longobardi nel Nord Italia (“Sulle tracce dei Longobardi. Italia settentrionale”, uscito a marzo sempre per le Edizioni del Capricorno) e uno sulla Lombardia medievale, in stampa e in uscita – spero – entro l’autunno.
Ho continuato anche a collaborare con le riviste tra cui Medioevo, Archeo, BBC History Italia, ma ho l’impressione che la pandemia anziché rilanciare il settore editoriale nelle edicole – più tempo a disposizione in teoria comporterebbe più tempo per leggere – ne abbia accelerato la crisi già in atto. Spero di sbagliarmi… in ogni caso adesso pian piano molte attività stanno riprendendo e sono fiduciosa che si riesca a “tornare sul campo” e fare di nuovo cultura in presenza. Anche perché se già prima se ne aveva un drammatico bisogno, ora combattere l’ignoranza, il pregiudizio, il proliferare delle fake news e delle pseudoscienze è qualcosa di più che necessario: è vitale e improcrastinabile.”
- Per le fotografie si ringrazia la Dott.ssa Elena Percivaldi. Tutti i diritti riservati.
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