Lo ha incoraggiato e guidato nel suicidio. Un giovane, residente nella provincia di Roma, è stato arrestato con l’accusa di istigazione al suicidio per la morte di Andrea Prospero, lo studente universitario 19enne trovato a fine gennaio senza vita in un appartamento a Perugia, dopo cinque giorni di ricerche.
La procura di Perugia ha fatto scattare l’arresto per istigazione al suicidio: ai domiciliari un 18enne della provincia di Roma
L’arrestato è un 18enne che in diretta chat avrebbe spinto Andrea al suicidio invece di chiamare i soccorsi. Un’altra persona, invece, è indagata per cessione di un medicinale di tipo oppiaceo.
La svolta nell’indagine conferma quanto sempre sostenuto dalla famiglia Prospero: qualcuno aveva spinto il loro figlio a quel gesto inaspettato e contro natura.
Andrea Prospero, originario di Lanciano, in provincia di Chieti, era uno studente universitario fuorisede, iscritto al corso di Informatica dell’Università degli Studi di Perugia, città nella quale condivideva l’appartamento con la sorella gemella Anna.
Il ruolo del pusher
Le indagini hanno rivelato che la causa del decesso è dovuta a un mix letale di benzodiazepine e ossicodone, sostanze che hanno avuto un effetto depressivo sul sistema respiratorio e cardiovascolare. Ora gli investigatori sanno chi glieli ha fatti recapitare. Da qui una perquisizione in Campania. Questo secondo indagato, però, risponde solo del reato di cessione di stupefacenti e non di istigazione al suicidio.
Il suicidio e le perquizioni
Durante le perquisizioni a casa del ragazzo, gli agenti della squadra mobile di Perugia hanno poi trovato cinque telefoni cellulari, 60 schede sim e tre carte di credito non intestate al 19enne. Le indagini per chiarire le cause del suicidio si sono concentrate sul suo possibile coinvolgimento in attività informatiche illecite.
Il ruolo del 18enne nella morte di Andrea
Dalle indagini è emerso che la vittima, molto attenta alla propria privacy, sia nella vita reale che in rete, aveva rapporti con vari interlocutori e soprattutto ne avevo stretto uno maggiormente confidenziale al quale aveva confidato i suoi problemi, le sue ansie e insofferenze rispetto alla vita universitaria e il pensiero di togliersi la vita.
L’esame approfondito dei contatti con questo interlocutore – un 18enne della provincia di Roma – che utilizzava più di un nick name, ha consentito di accertare che Andrea Prospero aveva chiesto al suo amico virtuale consigli in merito alla scelta del mezzo più idoneo, più indolore per compiere il gesto estremo, venendo più volte incitato dall’indagato a farlo.
Le chat estrapolate dalla polizia, particolarmente esplicite nella loro drammaticità, hanno fornito elementi sul fatto che possa essere stato proprio il suo interlocutore virtuale a confortare la scelta del 19enne di compiere il gesto mediante l’ingestione di farmaci, incoraggiandolo e rassicurandolo anche sul fatto che utilizzando gli oppiacei non avrebbe sentito nessun dolore ma piacere.
A quel punto, la vittima, dopo essersi informata con alcuni contatti “Telegram” sulle modalità di acquisto e spedizione, era riuscita ad acquistare il farmaco da un altro utente della chat, facendosi spedire il tutto in un locker inpost.
L’incitamento alla morte fino agli ultimi attimi
Prospero il 24 gennaio quando era presso l’appartamento preso in affitto, in via del Prospetto, in un colloquio intercorso proprio nella fase immediatamente precedente l’ingestione dei farmaci, aveva manifestato all’amico di non aver il coraggio di compiere il gesto, chiedendogli quindi un ulteriore incoraggiamento, ricevuto dall’indagato, che gli aveva fatto superare la paura inducendolo a ingerire i farmaci e a togliersi la vita.
Nella chat estrapolata c’è un ulteriore particolare drammatico: l’interlocutore dello studente, avuta notizia che i farmaci erano stati assunti invece di chiamare i soccorsi, si era preoccupato soltanto dei possibili rischi di poter essere identificato.
L’inchiesta
L’inchiesta sulla morte del 19enne, però, non è chiusa. “È un’indagine complessa – hanno spiegato gli inquirenti – elaborata analizzando i dati presenti sui cellulari e gli apparati informatici degli indagati. Ma questo è solo il primo tassello. L’indagine proseguirà per riuscire a comprendere una serie di altre questioni che riguardano la presenza delle sim e di più cellulari in uso dalla vittima”.