Civitavecchia, cadde dalla Vespucci: per la morte del marinaio Nasta condannati 4 ufficiali

Il giovane precipitò dall'altezza di 54 metri mentre la Vespucci si trovava a largo di Civitavecchia

Quattro alti ufficiali della Marina militare, oggi, 5 maggio, sono stati condannati dal tribunale di Civitavecchia per la morte di Alessandro Nasta, il marinaio che perse la vita il 24 maggio 2012 a bordo della nave scuola Amerigo Vespucci. Il reato contestato l’omicidio colposo. Dopo 11 anni dalla tragedia la pena più alta 1 anno e 10 mesi

Il giovane precipitò dall’altezza di 54 metri mentre la Vespucci si trovava a largo di Civitavecchia

Il tribunale di Civitavecchia ha riconosciuto la responsabilità di Domenico La Faia (allora comandante della Vespucci) al quale è stata inflitta una pena di un anno e 2 mesi, dell’ammiraglio Bruno Branciforte (ex capo di stato maggiore della Marina, un anno e 10 mesi), dell’ammiraglio Giuseppe De Giorgi (all’epoca capo della squadra navale poi divenuto capo di stato maggiore della Marina, un anno e 2 mesi) e dell’ex capo di stato maggiore Luigi Binelli Mantelli (un anno e 10 mesi).

Secondo quanto ricostruito nel processo Nasta cadde mentre il veliero era in navigazione al largo di Civitavecchia dopo la partenza dalla base navale di La Spezia. Sulla Vespucci, dal 1930, non era mai successo che un nocchiere avesse un incidente grave o peggio precipitasse dall’albero di maestra.

Nell’imputazione in particolare si contesta la mancata adozione, all’epoca, dei sistemi di ritenuta degli acrobati del mare.

Nasta, impegnato in una manovra alle vele, cadde da un’altezza di circa 54 metri, battendo la testa sul ponte di coperta. Il giovane brindisino fu trasportato in elicottero all’ospedale di Civitavecchia, dove morì poche ore dopo. Dopo la morte di Nasta furono addottati di sistemi di sicurezza che dovrebbero scongiurare il ripetersi di simili incidenti.

I familiari del marinaio – assistiti dagli avvocati Massimiliano Gabrielli e Alessandra Guarini – hanno espresso soddisfazione per la sentenza arrivata dopo 11 anni di processo e più di giudici: “Finalmente è stata fatta giustizia per la morte del figlio, precipitato dopo un volo di 54 metri, per svolgere le operazioni di apertura e chiusura delle vele senza dispositivi di protezione individuale a norma, in aperta e consapevole violazione di qualsiasi legge sulla sicurezza, in nome del rispetto della tradizione marinaresca”.

Per i due legali “questa coraggiosa sentenza afferma definitivamente il principio che il risparmio sulla sicurezza sul lavoro non conviene, mai e a nessuno. Anche per un ammiraglio di Stato Maggiore o il comandante della nave più bella del mondo”.

Finalmente la verità sul caso di Alessandro Nasta – ha affermato da parte sua Luca Marco Comellini, segretario del Partito diritti dei militari, parte civile nel processo e rappresentato dall’avvocato Giulio Murano – Finalmente un tribunale ha riconosciuto che quando manca la sicurezza del lavoro, anche se in ambiente militare, la responsabilità è dei vertici. Insomma chi ha sbagliato paga. L’intera catena di comando è stata ritenuta responsabile delle omissioni che hanno causato la morte del giovane allievo di Marina”.

I difensori dei quattro ufficiali, intanto, già pensano al ricorso in appello. La condanna – va precisato – non è, infatti, definitiva e gli imputati non potranno essere considerati condannati come tali prima del pronunciamento della Cassazione.