Quando da Roma si veniva in colonia a Ostia: la testimonianza

Negli anni 60 finita la scuola, molti genitori mandavano i figli nelle colonie estive. Ostia era tra le mete più gettonate dai romani

colonia estiva
Istituto Luce

Una domenica assolata, le scuole chiuse, lo smog che pervade la Capitale. Mamma e papà che lavorano e che non sanno a chi lasciare i figli. Immagini senza tempo, ma che valgono sempre.  All’epoca c’erano le colonie estive, oggi si chiamano campus estivi, ma le dinamiche sono diverse.

Le colonie estive erano strutture situate presso località marine o montane destinata al soggiorno di bambini e adolescenti che vi svolgono attività ludiche e ricreative. Enti pubblici e grandi aziende private istituivano colonie estive per i figli dei dipendenti. Un’immagine raccontata bene anche nel film del 1949 Domenica D’Agosto di Luciano Emmer. Tra le storie che si intrecciano anche quella di un vedovo che conosce una signora dopo che entrambi hanno accompagnato i rispettivi figli a una colonia estiva.

Ci fa piacere allora pubblicare un ricordo legato agli anni 60 di Giovanna che racconta quando andava di moda fare le colonie a Ostia.

Colonia estiva a Ostia, il ricordo dolceamaro di Giovanna

Quell’anno, finita la scuola, i miei genitori decisero di iscrivermi alla colonia estiva giornaliera, cosa che accettai di buon grado come una bella alternativa alle calde e noiose giornate romane. Ma ben presto capii che non mi sarei divertita come pensavo.
Tanto per cominciare la mattina sveglia prestissimo per essere puntuale all’appuntamento con l’autobus che mi sarebbe passata a prendere.

Poi, dopo il lungo viaggio verso Ostia con tutta la sequela di soste per raccogliere gli altri bambini della colonia, finalmente si arrivava allo stabilimento. Per prima cosa la colazione e subito dopo l’alzabandiera, un rituale oggi dimenticato. Poi tutti ad attendere l’ora del bagno della mattina, ma che non era nel mare, come avremmo voluto. No, lo si faceva in una piccola piscina all’interno dello stabilimento.

Pochi minuti, a turni, presto richiamate dalle giovani ragazze che avevano l’ingrato compito di vigilare su quella ciurma di bambine e bambini vocianti e incontenibili. Poi il pranzo, non proprio all’altezza di quelli con cui mia nonna, che allora viveva con noi, era solita viziare i miei gusti di bambina schizzinosa.

Dopo pranzo aveva inizio il momento peggiore della giornata, il famigerato sonnellino pomeridiano, tutti inchiodati senza fiatare alla propria sdraio, dormendo o facendo finta di farlo. Il tempo di fare merenda e poi tutti di nuovo sull’autobus per il ritorno a casa, stremati e desiderosi solo di cenare ed andarcene a dormire.

Quell’anno andò così, nonostante le mie lamentele, ma l’anno dopo l’ebbi vinta io. Niente più colonia marina.

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