Ricerche: trovate microplastiche nel sangue e un fungo mangia-plastica

Due importanti scoperte che potrebbero rivelarsi utili nel settore sanitario ed ambientale

plastica copertina

Sono state rilevate microplastiche all’interno del nostro sangue ed è stato trovato in natura anche un vero e proprio fungo “mangia-plastica”.

Due importanti scoperte che potrebbero rivelarsi utili nel settore sanitario ed ambientale

Questa le due distinte e interessanti scoperte che arrivano segnatamente e rispettivamente dalla Cina (per il fungo) e dall’Olanda (per quanto concerne la presenza delle microplastiche sanguigne).

A parlarci del fungo sono stati i ricercatori dell’Istituto di Oceanologia che fa parte dell’Accademia Cinese delle Scienze.

Gli scienziati infatti hanno scoperto una specie di fungo marino in grado di degradare efficacemente il polietilene e altre plastiche, con alcune tipologie che vengono degradate in pezzi in sole due settimane. Il team di ricerca guidato da Sun Chaomin ha raccolto oltre 1.000 pezzi di rifiuti di plastica dal 2016 e ha trovato il fungo su un campione di materiale.

Nell’arco di circa quattro mesi, questa specie riesce a provocare una riduzione delle dimensioni della plastica e a cambiarne il colore, oltre a generare piccoli frammenti, deformandola completamente.

Il fungo in questione può vantare un’efficienza di degradazione di circa il 95% ed è innocuo per l’ambiente, ha dichiarato l’esperto. I ricercatori hanno migliorato le condizioni di coltura e l’efficienza di degradazione del fungo. Il poliuretano, il poliestere e le plastiche biodegradabili possono essere degradate in frammenti entro due settimane dal fungo.

Il team di ricerca ha dunque richiesto un brevetto nazionale per il risultato del proprio studio.

Potrebbe prestarsi oltretutto a imporanti utilizzi per bonificare l’ambiente questa scoperta, visto e considerato che  ogni anno, si stima che più di 8 milioni di tonnellate di rifiuti plastici finiscano nell’oceano e diventino microplastiche che entrano nella catena alimentare globale, rappresentando una grave minaccia per l’ecosistema marino. I funghi marini sono considerati un candidato promettente per la degradazione della plastica e possono offrire nuove soluzioni al problema dell’inquinamento plastico globale, ha osservato Sun.

I frammenti possono finire nel nostro sangue

Ma non è tutto, visto e considerato che, connessa a questa importante scoperta vi è anche quella che minuscoli frammenti di plastica dispersi nell’ambiente possono finire nel sangue ed entrare in circolazione nel corpo umano.

Questa volta a raccogliere la prima prova è la ricerca condotta nei Paesi Bassi e coordinata dalla Vrije Universiteit di Amsterdam.

I risultati, pubblicati sulla rivista Environment International, sono stati ottenuti dal gruppo di lavoro guidato alla ecotossicologa Heather Leslie e dalla chimica Marja Lamoree, nell’ambito del progetto Immunoplast.

I dati sono stati raccolti grazie all’analisi del sangue donato da 22 persone anonime, nel quale sono state cercate le tracce di cinque polimeri, ossia molecole che sono i mattoncini di cui è costituita la plastica, e per ciascuno di essi sono stati misurati i livelli presenti nel sangue. Il risultato è che in tre quarti dei 22 campioni esaminati erano presenti tracce di plastiche e che il materiale più abbondante è il Pet (polietilene tereftalato) di cui sono fatte le bottiglie: è stata misurata una quantità di 1,6 microgrammi per millilitro di sangue, pari a un cucchiaino da tè di plastica in mille litri di acqua (una quantità pari a dieci grandi vasche da bagno).

Si tratta di un risultato molto comune anche il polistirene utilizzato negli imballaggi, seguito dal polimetilmetacrilato, noto anche come plexiglas.

A questo punto, evidenziano le ricercatrici, resta da capire se e con quale facilità le particelle di plastica possono passare dal flusso sanguigno agli organi.

“Questi sono solo i primi dati di questo tipo e ora – ha detto Lamoree – se ne dovranno raccogliere altri per capire quanto le microplastiche siano presenti nel corpo umano e quanto possano essere pericolose. Grazie ai nuovi dati sarà possibile stabilire se l’esposizione alle microplastiche costituisca una minaccia per la salute”.

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