Verdi e chiassosi, i pappagalli tropicali caratterizzano ormai da anni parchi e giardini di molte città italiane ed europee. A Roma, sembrerebbe che una prima colonia abbia preso dimora qualche decennio fa nel Parco della Caffarella per poi “colonizzare” poco alla volta le ville capitoline.
Tra Villa Borghese, il Parco degli Acquedotti, Villa Torlonia e Villa Ada, qualcuno parla di migliaia di famelici esemplari di “parrocchetti monaco” e di “parrocchetti dal collare”
I parrocchetti monaco, originari dell’America meridionale, dalla testolina bianca, il corpo verde cangiante e le ali dalle splendide sfumature blu, si sarebbero presi Roma Sud, mentre i parrocchetti dal collare, provenienti dall’Africa e dall’Asia, dal becco di colore rosso acceso, avrebbero preso residenza a Roma Nord.
Aumentano gli avvistamenti di consistenti colonie di pappagalli anche nel Litorale Romano. Due numerose famiglie di “parrocchetti monaco”, di ritorno dalle scorribande giornaliere, riposerebbero ogni sera tra gli alberi di via Isole del Capoverde al centro di Ostia e su una palma in corso Duca di Genova. Tra l’Infernetto e Casal Palocco, gli invadenti volatili sarebbero ormai i padroni incontrastati degli spazi verdi.
Nel 2017 l’ex Presidente della Fondazione Bioparco, Federico Coccia, raccontò ai giornali di come i “parrocchetti dal collare” sarebbero giunti nella Capitale: «Sono arrivati in città da un sequestro consistente, di circa 1.000 esemplari, fatto all’aeroporto di Fiumicino nel 1999. Non si sapeva come sistemarli, e pare che qualcuno li fece scappare.» C’è, poi, chi ricorda di un furioso incendio avvenuto negli anni Ottanta nella villa di un collezionista in via Canale della Lingua, all’Infernetto, che costrinse il proprietario a liberare centinaia di esemplari di volatili dalla voliera e tra questi numerosi pappagallini.
Tra leggende metropolitane, qualche timore e tante teorie discordanti tra chi li ritiene un valore aggiunto per la fauna nostrana e chi invece un serio pericolo per la biodiversità, mi sono rivolto ad Alessandro Polinori, Responsabile del Centro Habitat Mediterraneo LIPU di Ostia.
“Come LIPU riteniamo che l’origine di queste colonie non possa essere attribuita a liberazioni di qualche pappagallo da parte di singoli cittadini. Valutando il numero consistente degli esemplari in libertà, propendiamo per liberazioni di massa non autorizzate da parte, probabilmente, di allevatori che avrebbero dovuto subire sequestri da parte delle Autorità per situazioni di commercio illegale.
Abbiamo avuto infatti un caso del genere in Emilia Romagna. Negli anni, questi pappagalli, grazie alla loro capacità di adattamento e ai cambiamenti climatici, hanno trovato nelle città un ambiente idoneo. A Roma, ad esempio, prosperano tra gli alberi di melograno, di arancio amaro e tra i platani, trovando abbondanti riserve di cibo. Si sono riprodotti in maniera esponenziale sia in Italia che in ambito internazionale“, spiega Polinori.
Questi pappagalli possono costituire un problema per le specie autoctone per quanto riguarda la territorialità e la ricerca di cibo?
“Gli uccelli sono indicatori ambientali. Dalla presenza o meno di una determinata specie, noi capiamo qual è lo stato di conservazione di quello specifico ambiente. Si stanno conducendo degli studi per valutare l’impatto nel medio e lungo periodo di queste colonie di pappagalli sulla biodiversità. Potrebbero esserci problemi per gli uccelli che nidificano nelle cavità degli alberi, mi riferisco ai picchi, agli storni e ai passeri. I “parrocchetti dal collare” usano appunto le cavità dei pini e dei platani per nidificare. Se riusciamo a garantire una buona qualità ambientale, soprattutto per la biodiversità, la natura riuscirà a trovare il giusto equilibrio. Può emergere un predatore.
Roma ad esempio è la città che conta il maggior numero di coppie di falchi pellegrini. Questi predano i piccioni ma hanno cominciato a cacciare anche i parrocchetti. Fondamentale è non rimpinguare le colonie. Chi vuole acquistare un animale, ormai in commercio trova di tutto. E infatti sempre più spesso in natura rileviamo esemplari di anfibi, rettili e uccelli che non sono tipici del nostro territorio. L’animale esotico abbandonato potrebbe morire, al contrario riprodursi e creare problemi alle specie autoctone e all’ambiente.
Come LIPU stiamo portando avanti un’importante campagna di responsabilizzazione al fine di far comprendere quanto sia pericoloso e dannoso abbandonare gli animali. Quando si vuole acquistare un animale, soprattutto se esotico, bisogna sapere quanti anni potrebbe vivere, le sue esigenze e soprattutto valutare con onestà se si possiede la forza e il desiderio di accudirlo, fermo restando che sarebbe importante adottare animali abbandonati invece di comprarne ulteriori.”
Nei parchi cittadini lo spettacolo offerto dai pappagalli è molto apprezzato. Ma gli agricoltori delle campagne intorno alla Capitale, hanno espresso più di una preoccupazione per i raccolti, essendo l’alimentazione di questi volatili frugivora…
“Il fenomeno va studiato con costanza. Per ora, le colonie di parrocchetti sono localizzate principalmente in ambiti urbani. Latina, Ostia e Ladispoli per esempio sono ambienti ideali con temperature miti e comunque superiori all’aperta campagna, diffusa presenza di alberi quali i platani e conseguente abbondanza di cibo. Possiamo trovare colonie prospere anche in ambienti semi-urbani. Un loro spostamento nelle campagne è un’opportunità da considerare in un prossimo futuro.
Dove ci dovessero essere problemi in tal senso si può sempre pensare di ricorrere a metodi atti ad allontanarli dai campi seminati, penso ai cannoncini a salve. Consideriamo che pur essendo specie tropicali, i parrocchetti resistono a temperature intorno ai -5°C. Ma in ogni caso, in pieno inverno, l’aperta campagna sarebbe un ambiente freddo e ostile per loro. Ribadisco che una città offre cibo, temperature più alte, meno predatori e l’illuminazione artificiale che permette agli uccelli di nutrirsi per 24 ore al giorno, difendendosi con più efficacia dai pericoli.
Molto spesso abbiamo una città che gradualmente ha circondato un parco semi-urbano, una zona verde habitat di numerosi uccelli. In altri casi, constatiamo che alcune specie si sono trasferite in città per opportunità come ad esempio i gabbiani. Sta a noi imparare a convivere con queste situazioni non infrangendo mai il muro che divide il “domestico” dal “selvatico”. Un consiglio valido è quello di non dare mai da mangiare ai gabbiani. Stessa attenzione va posta anche nei confronti di qualunque altra specie animale in libertà che divide con noi gli spazi cittadini. Dobbiamo sapere cosa fare, con senso di responsabilità e cognizione di causa.”
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