Giada Crescenzi resterà in carcere nella sezione femminile del penitenziario di Civitavecchia ma, secondo il suo legale, l’avvocato Anna Maria Anselmi, non può essere stata lei ad assassinare Stefania Camboni, la 58enne di Fregene uccisa con 34 coltellate nella mansarda del suo villino di Fregene giovedì scorso, 15 maggio.
Per Anna Maria Anselmi avvocato difensore di Giada Crescenzi, unica indagata: “l’assassino è un uomo”, intanto il compagno sceglie un avvocato diverso da quello dei familiari
Nell’interrogatorio di garanzia che si è tenuto questa mattina, lunedì 19 maggio, di fronte al Giudice per le indagini preliminari Giada, 30 anni, si è avvalsa della facoltà di non rispondere ma, spiega Anselmi a canaledieci.it “perché era molto provata. Non vede i genitori e il fratello minore da giovedì scorso, quando dalla caserma dei carabinieri di Ostia è stata trasferita in prigione. Al momento di salutarla il fidanzato le ha detto ‘ti amo’, poi abbiamo saputo che aveva scelto un avvocato di parte insieme ai familiari della madre ma, proprio in questo momento, ci è giunta notizia che il compagno ha chiesto a un altro professionista di rappresentarlo”.
Che si tratti di un segnale del fatto che il quadro granitico di accuse delineato dalla procura della Repubblica e dagli inquirenti e che punta dritto alla colpevolezza di Giada Crescenzi di stia indebolendo?

“In sede di esame autoptico -sottolinea l’avvocato Anselmi- siamo stati assistiti dal dottor Cipolloni e sono emerse una serie di considerazioni a favore di Giada. Il nostro consulente ha osservato che la mano che ha assassinato Stefania Camboni non può essere che la mano di un uomo: 34 coltellate, alcune delle quali molto profonde al collo e al torace e altre molto più superficiali, sono state inferte con una violenza incompatibile con una corporatura minuta come quella della mia assistita”.
“Le donne, in genere, non uccidono con questa ferocia. Portata in caserma, Giada, non aveva segni di lesioni né sulle mani né sul corpo. Si può commettere un omicidio di questa portata senza ferirsi a propria volta, né avere addosso segni di colluttazione, visto che la vittima ha tentato di difendersi dai numerosi colpi ricevuti?”.
Le tracce ematiche
Il sangue rinvenuto sulla scena del crimine era confinato all’ultimo piano della villetta di via Santa Teresa di Gallura dove dormiva la 58enne, mentre nella tavernetta dove la ragazza viveva con il fidanzato non c’è evidenza di tracce ematiche.
“Dove sono -incalza Anselmi- i vestiti imbrattati che Giada avrebbe fatto sparire dopo il delitto, il coltello usato per uccidere, il telefonino e le chiavi della macchina della signora Stefania?”.
Mentre il difensore della controparte ha lanciato un appello ai residenti della località tirrenica dove è avvenuto l’omicidio, affinché segnalino alle forze dell’ordine la presenza di buste sospette o gettate alla rinfusa tra i cespugli e i prati coperti di pini in tutto il circondario, le indagini coordinate dalla procura proseguono.
E il timore che Giada possa condizionare la ricerca delle prove è il motivo per cui il Gip ha deciso che deve restare in carcere.
“C’è un dettaglio tecnico importante al riguardo -puntualizza l’avvocato Anselmi- il giudice non ha convalidato il fermo, e questo per un attimo ci ha fatto sperare che Giada potesse tornare a casa, almeno agli arresti domiciliari, ma poi ha disposto la custodia cautelare per esigenze probatorie. Temono che la mia assistita possa, in qualche modo inquinarle, e vogliono proseguire nelle indagini senza condizionamenti. Quanto questo sia giusto o no non lo so, cercheremo di capirne di più leggendo le motivazioni dell’ordinanza”.
Il rischio, dunque, è che l’indagata possa restare in carcere per tutta la durata della custodia cautelare. Termini che, nel caso dell’accusa di omicidio aggravato dalla minorata difesa e dell’ospitalità ricevuta in casa della vittima che le è stata rivolta, potrebbero arrivare sino a due anni.
E non è affatto detto che, presentare un ricorso al tribunale del riesame per ottenere una revoca di quanto disposto dal Gip sia, dal punto di vista processuale, una buona strategia.
“Valuteremo -prosegue l’avvocato- il problema è che se in sede di riesame il tribunale respinge l’istanza per liberare l’indagata e ammette che vi siano elementi di colpevolezza inconfutabili, quella pronuncia fa stato anche nell’ambito del processo che speriamo venga celebrato al più presto. E’ come una macchia che si addensa sull’imputato, perché quel pronunciamento diventa impegnativo anche per il magistrato che deve decidere delle sorti dell’imputato”.
Intanto la 30enne continua a professarsi innocente e proprio al suo legale ha detto di non avere alcuna intenzione di confessare ciò che non ha commesso.
Un castello di indizi che mostra le prime crepe
Il castello di indizi in mano alla pubblica accusa intanto inizia a mostrare le prime crepe. Quale è il movente che avrebbe spinto l’indagata a compiere un gesto simile? Qualcuno ha ipotizzato che potesse trattarsi del furto di un portafoglio appartenente a Stefania Camboni e di cui la signora avrebbe accusato la futura nuora.
Il furto sarebbe avvenuto nei giorni immediatamente precedenti all’omicidio ma proprio il figlio di Stefania, compagno di Giada, ha detto che il portafoglio era stato perduto in occasione di una festa danzante cui la mamma aveva preso parte e che non era stata presentata alcuna denuncia perché l’oggetto non conteneva documenti, ma solo appunti e qualche decina di euro in tagli diversi.
Poi ci sono i riscontri effettuati sul cellulare dell’indagata, considerati dagli inquirenti di particolare rilevanza. Tra questi ultimi la ricerca su come smacchiare il sangue da un materasso ma che per la difesa non avrebbe niente a che fare con il modus operandi in cui è maturato il delitto.
La vittima trovata dal figlio al suo rientro dal lavoro intorno alle 7.00 del mattino era, infatti, coperta da cuscini e giaceva sopra a un copriletto usato per occultare le tracce più evidenti dell’accoltellamento.
“Anche in questo caso c’è una spiegazione data da Giada e che ha trovato pieno riscontro in sede di indagine perché il sangue che intendeva smacchiare erano i residui del ciclo mestruale rimasti sul suo materasso e che erano stati particolarmente abbondanti proprio la sera antecedende alla notte del delitto. In caserma è stata fatta un ‘ispetio corporis’ che ha dato esito positivo. Lo stesso vale per le presunte ricerche che la mia assistita avrebbe fatto su Internet per sapere come avvelenare una persona”.
“L’iniziale della parola ‘p’ da lei digitata, in realtà, non stava per persone come sostiene l’accusa ma per piante. Giada stava cercando di capire che diserbante usare per le erbe infestanti del giardino di casa, tanto che le ulteriori richieste fatte sui motori di ricerca riguardavano il bicarbonato, l’acido bianco e l’acqua distillata, altre sostanze utili proprio a quello scopo. Senza considerare che la signora Stefania non è stata avvelenata ma massacrata da un’arma da taglio”.
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E’ opportuno ricordare che ogni persona denunciata, fermata, arrestata, indagata o rinviata a giudizio in ogni stato e grado del procedimento penale deve essere considerata innocente sino alla pronuncia di una sentenza di condanna definitiva nei suoi confronti.