Roma, condannato il boss della droga Daniele Carlomosti: a lui 20 anni, in carcere 13 persone

Attesa da marzo, arriva durissima la mannaia della Giustizia ai danni del boss romano del narcotraffico Carlomosti e per altre 13 persone: inflitti in totale 135 anni di carcere

Un carcere

Un maxi processo arriva oggi, sabato 14 ottobre, alla sua conclusione, con 20 anni inflitti al boss romano della droga, Daniele Carlomosti e un complesso dispositivo giudiziario che dopo lunghe indagini ha inflitto in totale a vari imputati 135 di carcere, procedendo tramite rito abbreviato e condannando complessivamente 13 persone.

Attesa da marzo, arriva durissima la mannaia della Giustizia ai danni del boss romano del narcotraffico Carlomosti e per altre 13 persone: inflitti in totale 135 anni di carcere

Il comando provinciale capitolino dei carabinieri ha indagato a lungo sull’organizzazione di narcotraffico messa in piedi, infliggendo la pena maggiore proprio a Carlomosti, confermando la richiesta dell’accusa fatta a marzo scorso, come vi avevamo raccontato in un altro nostro articolo di quei mesi.

Confermati dunque 20 anni di carcere per reati connessi all’attività di spaccio di droga con l’aggravante di estorsioni commesse prevalentemente nella zona della periferia est di Roma, riconoscendo il ruolo centrale di capobanda del sodalizio criminale che operava prevalentemente nella borgata romana de La Rustica.

Altre pene rilevanti subito dopo quella di Carlomosti sono state quella di 18 anni e di 9 anni e 4 mesi di reclusione, inflitte rispettivame al “vice” del boss del narcotraffico in questione, ovvero Fabio Pallagrosi, e ad Armando De Propris, papà di Marcello, che in carcere dovrà invece, per un altro episodio, scontare 25 anni per l’omicidio di Luca Sacchi.

Rispettata la richiesta precedente dell’accusa che aveva chiesto in totale poco di meno 140 anni di carcere per le accuse in concorso e a vario titolo, di spaccio di droga, sequestro di persona, estorsione e lesioni gravi, oltre che, nel caso specifico di Carlomosti, anche quello di tortura, dato che risulta che il maggiore indagato avesse creato una vera e propria camere delle torture per ottenere i soldi per debiti di droga ai suoi “clienti” che non lo pagavano.

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