Amo il cinema e mi diverto a riconoscere le location romane e ostiensi impiegate per le scene dei film. Sono appassionato di macchine come forma d’architettura in movimento. E amo abbandonarmi ai ricordi di quando ero bambino, irrequieto e discolo figlio di una coppia di genitori impeccabili.
Riscoprire l’auto di tuo papà diventata un’elegante diva del cinema è un tutt’uno con un gioioso flashback a spasso nell’infanzia
Ecco perché quando ho visto quella Fiat 1100 sul set di una fiction per la tivvù, ho avuto un tonfo al cuore. Camminavo sul lungomare di Ostia, dove vivo e lavoro. E sapevo che Flavio Insinna sta girando nella ex colonia il film televisivo “A muso duro” sulla storia delle paralimpiadi, iniziate a Roma nel 1960. Quindi vedere un paio di auto risalenti all’epoca della sceneggiatura, non mi ha sorpreso più di tanto. Eppure, superata quella 1100 color grigio esercito, ferma in attesa del ciak, ho sentito come una vocina dentro. “Voltati. Guardami. Osserva la targa. C’è una sorpresa per te”: era come se qualcuno mi sospirasse in un orecchio.
La silhouette morbida del baule, il restauro perfetto, il colore retrò, i numeri della targa. Ecco, quella sequenza di cifre bianche su campo nero 290987, accompagnata dalla scritta Roma. E’ stato leggendola che è esploso un “Oh” di meraviglia: gli stessi, identici numeri dell’auto di papà. Era lei, la Carolina in lamiera pesante che allora aveva la livrea verdolina. Un flashback alla velocità della luce è divampato nella mia testa. Un indietro nel tempo che mi ha catapultato a quando mio padre Fedele, buonanima, guidava quella Fiat con le mani sul volante nella posizione canonica delle 10,10. A quando mia madre Italia (una coincidenza del destino essere Fedele all’Italia), spazientiva mio padre nelle lezioni di guida nella zona tutta da costruire di Grottaperfetta. A quando lei, dalla Garbatella, mi accompagnava a nuotare al corso Coni della piscina del Foro Italico. A quando con mia sorella Anna Rita salivamo trafelati per non fare tardi alla scuola Principe di Piemonte di San Paolo.
E i ricordi tracimano come in un vaso di Pandora, con l’energia positiva dei tempi vissuti con semplicità, spensierati, in una famiglia sì piccolo borghese ma grondante dei sacrifici dalla condizione di monoreddito impiegatizio statale. Le immagini si affastellano, corrono veloci, si sormontano una sull’altra: le scampagnate a Rocca di Papa a raccogliere le castagne, le gite al mare, la porchetta e le altalene da Fernando ai Castelli, la cicoria picchettata con coltellino dai pratoni del Vivaro.
Gli episodi riaffiorano e scintillano come le bollicine di una bottiglia di buon Prosecco. E rivivi quella volta che di ritorno da Montalto di Castro, sull’Aurelia, si ruppe la cinghia della ventola di raffreddamento e un motociclista della Polstrada, più gentile che animato dal senso del dovere, ci soccorse andando a comprarne una nuova. Di quando, viaggiando in otto, si faceva a gara per chi doveva stare davanti tra le gambe del passeggero. Oppure ti rimbalza nella mente quella sfida innocente con il cugino Mario a chi, osservando la strada dal lunotto posteriore, trovava nelle altre targhe più numeri possibili corrispondenti a quelli della 1100 di tuo papà. Ed ecco perché quella sequenza te la ricordi così bene a distanza di oltre mezzo secolo.
Mio padre quella macchina la comprò usata che io avrò avuto otto-nove anni. E la mando’ in pensione ancora “giovincella”, quando nel 1970 decise di comprare la 128, rigorosamente Fiat, orgoglio nazionale.
Ora quell’auto è una diva del cinema d’epoca. Vive di luce riflessa come coprotagonista delle avventure anni Sessanta frutto di fantasia. E’ una gloria meritata, dopo aver regalato gioie e sogni a chi, come mio padre, costruiva un futuro migliore per sé e per la famiglia. E ha restituito un luminoso pezzo di memoria a chi, come me, vive sempre con gioia il ritorno al passato di un’infanzia felice, fatta di cose semplici e genuine.
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