Condanna all’ergastolo per Finnegan Lee Elder e per Gabriel Natale Hjorth. È quanto deciso dalla Prima Corte d’Assise di Roma in relazione all’omicidio del vicebrigadiere dei carabinieri Mario Cerciello Rega dopo oltre 13 ore di camera di consiglio. La sentenza è stata comunicata alle ore 23,10 di mercoledì 5 maggio.
Sentenza al processo per l’uccisione del brigadiere dei carabinieri Mario Cerciello Rega stroncato da 11 coltellate
Dopo la lettura della sentenza la vedova di Cerciello, Rosa Maria Esilio, è scoppiata in lacrime ed ha abbracciato i parenti del militare dell’Arma. La coppia si era sposata un mese prima del tragico evento.
Oltre all’ergastolo (con due mesi di isolamento diurno) i due imputati sono stati condannati a una provvisionale immediatamente esecutiva di un milione di euro a favore delle parti civili. “Sentenza severa ma corrispondente al delitto atroce che è stato commesso. È una pena adeguata alla gravità del fatto per i due imputati, non hanno dato alcun segno di pentimento” è il commento a caldo dell’avvocato Franco Coppi, legale della famiglia del vicebrigadiere Mario Cerciello Rega.
Di parere diametralmente opposto la difesa di Finnegan Lee Elder. «Questa sentenza rappresenta una vergogna per l’Italia con dei giudici che non vogliono vedere quello che è emerso durante le indagini e il processo. Non ho mai visto una cosa così indegna. Faremo appello»: così l’avvocato Renato Borzone. «Qui c’è un ragazzo di 19 anni che è stato aggredito. Abbiamo assistito al solito tandem procure della Repubblica-giudici», conclude. «Una sentenza che non scalfisce la nostra convinzione che Gabriel Natale Hjorth sia assolutamente innocente. Leggeremo le motivazioni ma faremo sicuramente appello». Lo afferma l’avvocato Fabio Alonzi, difensore dell’altro americano condannato all’ergastolo.
Il vicebrigadiere dei carabinieri Mario Cerciello Rega, venne ucciso con undici coltellate la notte del 26 luglio del 2019 al culmine di una colluttazione in una strada a pochi passi da piazza Cavour, zona centrale di Roma. Nel corso del processo, svolto in oltre 50 udienze, sono stati ascoltati periti, testimoni e gli stessi imputati. Un percorso giudiziario a tappe forzate, udienze si sono svolte anche durante il primo lockdown, in cui è stata di fatto «sezionata» sotto ogni profilo la drammatica notte di due anni fa.
Una vicenda, quella, nata dopo che i due americani, in cerca di droga a Trastevere, avevano rubato lo zaino del facilitatore dei pusher, Sergio Brugiatelli. Da quell’episodio è nata la «trattativa» per la restituzione della borsa culminata con le 11 coltellate inferte da Elder a Cerciello, che era intervenuto con il collega Andrea Varriale per recuperarla.
La requisitoria del pm
Nella requisitoria con cui il pm aveva sollecitato il carcere a vita per i due imputati, il 6 marzo scorso, il rappresentante dell’accusa, Maria Sabina Calabretta, ha affermato che questa vicenda è caratterizzata da «fatti gravi» e «grave è l’ingiustizia che è stata commessa contro un uomo buono, che stava lavorando». Nel corso della requisitoria il magistrato ha ricostruito, in modo dettagliato, quanto avvenuto quella notte di luglio di due anni fa. «Tutti ci dicono che Cerciello e Andrea Varriale (in pattuglia quella notte con il vicebrigadiere ndr) – ha puntualizzato il pm – quando incontrano Brugiatelli si comportano in modo professionale e non confidenziale. Possiamo escludere una conoscenza pregressa con lui».
Il pm ha quindi raccontato della «fuga» dei due americani nell’albergo, nella zona Prati, dove alloggiavano da alcuni giorni. E ha ricostruito le telefonate intercorse tra loro e Brugiatelli per organizzare la riconsegna del cellulare e dello zaino. I due svolsero anche una sorta di perlustrazione di via Gioacchino Belli, la zona dove sarebbe dovuto avvenire l’incontro, verificando pure la presenza di videocamere. «Non fu legittima difesa, entrambi sono andati all’incontro preparandosi, erano pronti a tutto. Non si sono preoccupati della salute della vittima, sono scappati e hanno nascosto il coltello», ha dichiarato in aula il pm.
Ricostruendo le fasi della drammatica colluttazione, il rappresentante dell’accusa ha spiegato che «i carabinieri si sono qualificati, hanno mostrato il tesserino ed erano in servizio: si sono avvicinati frontalmente, non alle spalle. Cerciello non è stato ammazzato con una coltellata ma con undici fendenti in meno di trenta secondi. La vittima non avuto il tempo di elaborare nessuna difesa attiva» e comunque «avrebbe potuto poco anche se fosse stato armato e non lo era».
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