Caso Hasib, il poliziotto accusato di tortura resta ai domiciliari

Il tribunale del Riesame non scarcera l'agente accusato di aver torturato Hasib

Hasib Omerovic dopo la caduta

Scarcerazione negata. Resta ai domiciliari l’assistente capo del commissariato di Primavalle Andrea P. accusato di aver torturato il 36enne rom sordomuto Hasib Omerovic nel corso di una perquisizione non autorizzata della sua abitazione, a Primavalle.

Il tribunale del Riesame non scarcera l’agente accusato di aver torturato Hasib

Durante la perquisizione eseguita a luglio senza delega della magistratura, per cause ancora da accertare, Hasib precipitò dalla finestra restando per mesi in coma.

Il Tribunale del Riesame ha rigettato il ricorso presentato dalla difesa del poliziotto, arrestato il 22 dicembre in una inchiesta che vede indagati anche tre agenti per falso e un quarto per false comunicazioni al pm.

La misura per l’agente era stata disposta dal gip Ezio Damizia su richiesta del sostituto procuratore Stefano Luciani, in seguito alle indagini affidate alla Squadra mobile.

Per il gip, l’assistente capo non avrebbe avuto “alcuna remora di fronte ad un ragazzo sordomuto e una ragazza con disabilità cognitiva (la sorella di Omerovic ndr) compiendo ripetuti atti violenti, sia sulla persone che sulle cose e gravemente minatori, così da denotare pervicacia e incapacità di autocontrollo“.

Il poliziotto nel corso dell’interrogatorio di garanzia rispondendo alle domande del giudice aveva negato qualsiasi forma di violenza sulla vittima respingendo tutte le contestazioni.

L’ispettrice indagata

C’è pure una ispettrice della Polizia di Stato nell’elenco degli agenti ritenuti coinvolti nell’irruzione non autorizzata in casa Omerovic.

E’ il quinto poliziotto coinvolto secondo la procura di Roma, che, intanto, ha portato all’arresto e ai domiciliari per tortura e falso l’assistente capo Andrea P., e quattro agenti per aver cercato di depistare l’indagine (leggi qui). 

L’ispettrice superiore è accusata di false comunicazioni al pm. La sottufficiale avrebbe provato a depistare le indagini perché dopo aver invitato un collega e amico della Mobile a fare “bene bene le indagini perché le cose non stanno come hanno scritto gli operanti” avrebbe fatto dietrofront sostenendo di non essere stata compresa.

Davanti al pm l’ispettrice avrebbe, invece, negato di essere in qualche modo a conoscenza dei fatti.

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