Diabolik ucciso per la sete di potere e un rifiuto: ecco perché è stato eliminato dalla piazza romana

Fabrizio Piscitelli detto Diabolik, in uno scatto allo stadio

Ucciso per un debito di droga non saldato e per la sua ascesa criminale che minacciava a Roma equilibri consolidati. È questa, in sintesi, la motivazione dell’omicidio di Fabrizio Piscitelli, noto come Diabolik, secondo la sentenza della terza Corte d’Assise che ha condannato all’ergastolo Gustavo Alejandro Musumeci, alias Raul Esteban Calderon, ritenuto l’esecutore materiale del delitto avvenuto il 7 agosto 2019 al Parco degli Acquedotti.

Omicidio al Parco degli Acquedotti, ucciso per un debito e per la sete di potere: così – secondo i giudici – Diabolik fu eliminato

Dietro l’agguato, scrivono i giudici, ci sono Giuseppe Molisso, Leandro Bennato e Alessandro Capriotti, già indagati per lo stesso omicidio e ritenuti i mandanti. Il movente? Eliminare Piscitelli per il suo atteggiamento “spregiudicato, intimidatorio e violento” nei confronti di Capriotti, legato al gruppo criminale di Molisso e Bennato.

La rapida ascesa di Diabolik, ex ultrà leader degli Irriducibili della Lazio, lo aveva portato a uscire dalla sfera di influenza di Michele Senese e a diventare un attore dominante nella malavita romana. Alla guida, secondo i giudici, di una rete che univa narcotraffico, riscossione violenta di crediti e un esercito di picchiatori, Piscitelli era diventato un concorrente pericoloso.

Il rifiuto di Piscitelli

Decisivo, secondo la ricostruzione della Corte, il rifiuto di Piscitelli di accettare un orologio di lusso, offerto da Capriotti tramite un intermediario, come acconto su un debito di 300mila euro.

Piscitelli lo rispedì al mittente, pretendendo il denaro. Una scelta che avrebbe fatto scattare la decisione di eliminarlo. Capriotti avrebbe esplicitamente confidato all’intermediario sia la sua intenzione di non pagare, sia quella di far fuori Diabolik, dandogli appuntamento al Parco degli Acquedotti. Il primo incontro andò a vuoto, ma il giorno successivo – stesso luogo, stessa ora – al posto di Capriotti si presentò Calderon, che sparò a bruciapelo.

Per i giudici è chiaro che Piscitelli fu attirato con l’inganno: un luogo abituale, frequentato da molti, scelto apposta per non destare sospetti e colpire a sorpresa.

Nessun metodo mafioso, secondo la Corte

Pur riconoscendo la matrice criminale dell’omicidio, la Corte ha escluso che il delitto possa essere qualificato come mafioso. A loro avviso, la dinamica rientra nelle logiche violente del traffico di droga, ma non si riscontrano elementi tipici del metodo mafioso come l’assoggettamento e l’omertà.

Resta aperta la partita giudiziaria sui tre presunti mandanti per cui tra l’altro due anni fa era stata chiesta l’archiviazione,  mentre la difesa di Calderon si prepara al ricorso in appello.

A febbraio, intanto, la Corte di Appello di Roma ha confermato la condanna a 12 anni di reclusione per Raul Esteban Calderon. La condanna si riferisce al tentato duplice omicidio dei fratelli Emanuele e Alessio Costantino, avvenuto il 13 luglio 2021 nel quartiere Alessandrino a Roma.