Giada Crescenzi effettua il riconoscimento facciale chiesto dalla Procura per il suo iphone, andato in blocco a causa del sistema di protezione antifurto. L’unica indagata per l’omicidio della 58enne, Stefania Camboni, avvenuto a Fregene il 16 maggio scorso, ha offerto la sua collaborazione per l’ulteriore seguito delle indagini da parte dell’autorità giudiziaria.
Omicidio di Fregene, gli ultimi sviluppi dell’inchiesta sulla morte della donna assassinata il 16 maggio scorso
Stefania Camboni è stata assassinata con 34 coltellate al secondo piano della villetta di via Santa Teresa Gallura che, da qualche settimana, condivideva con il figlio, Francesco Violoni, e la compagna 30enne, poi accusata di omicidio aggravato per minorata difesa e per aver approfittato del vincolo di coabitazione con la vittima.
Proprio le indagini sul contenuto del cellulare di Giada erano state al centro dell’impianto indiziario delineato dal pubblico ministero Eugenio Rubolino e, in parte accolto, dal giudice per le indagini preliminari che, pur non convalidando il fermo dell’indagata, ne ha disposto la custodia cautelare in carcere, dove tuttora si trova, per ‘ragioni probatorie’.
Lo sblocco del telefonino, che resta tra i reperti sequestrati dagli inquirenti, serviva alla pubblica accusa per proseguire gli accertamenti su quanto contenuto nella memoria del dispositivo.
Le indagini della pubblica accusa sul contenuto del telefono cellulare dell’indagata
“La mia cliente -spiega l’avvocato Anna Maria Anselmi- ha dato piena disponibilità alla richiesta della Procura, ma la nostra posizione rispetto alle ricerche da lei effettuate la notte del delitto sul web non cambia di un millimetro”.
Secondo la Procura tra le ricerche effettuate da Giada e ritenute compromettenti figurano quelle su come smacchiare materassi con tracce di sangue (la signora Camboni è stata massacrata nella sua camera da letto) e su come avvelenare una persona.
“Ma c’è una spiegazione data da Giada e che ha trovato pieno riscontro in sede di indagine, perché il sangue che lei intendeva rimuovere, in realtà, erano i residui del ciclo mestruale rimasti sul suo materasso e che erano stati particolarmente abbondanti proprio nella notte del delitto. In caserma –aggiunge l’avvocato difensore– è stata fatta un ‘ispetio corporis’ che ha dato riscontro positivo”.
“Per quanto riguarda invece la ricerca di come si possa avvelenare una persona va precisato che l’iniziale della parola ‘p’ da lei digitata non stia per ‘persona’, come sostengono gli inquirenti, ma per ‘piante’ e cioè quelle infestanti che voleva eliminare dal giardino di caso anche mediante l’uso di bicarbonato, acido bianco e acqua distillata. Senza considerare che la signora Stefania non è stata avvelenata ma uccisa con un’arma da taglio”.
I futuri passi dell’inchiesta
Un’ulteriore novità è costituita dal fatto che la Procura di Civitavecchia ha autorizzato i legali della difesa e lo staff dell’avvocato Massimiliano Gabrielli che rappresenta la famiglia (futura ‘parte lesa’ in caso di rinvio a giudizio a carico di Giada) a effettuare un nuovo accesso all’interno della villetta dove si è consumato il crimine.
“Siamo in attesa di conoscere la data del sopralluogo durante il qual, con i nostri periti potremo effettuare accertamenti irripetibili sui liquidi organici e sulle impronte presenti all’interno del villino, mentre il prossimo 24 giugno -anticipa Anna Maria Anselmi- è stato fissato l’appuntamento presso il Reparto Investigazioni Scientifiche dei carabinieri (Ris) per prendere visione di tutte le sostanze e le tracce che sono state repertate dai militari dell’Arma”.
Le indagini, pertanto, sono ancora in corso e proseguono con rilievi dattiloscopici sulle impronte digitali presenti sulla scena del delitto e il prelievo di liquidi organici considerati rilevanti alla ricostruzione di quanto accaduto.
Tasselli che andranno ad aggiungersi a quelli già emersi, come il fatto che l’arma del delitto servita per uccidere la 58enne potrebbe essere un coltello, sinora mai ritrovato, facente parte di un set da cucina di altri quattro coltelli regalato da Giada al compagno.
L’orario della morte resta incerto
Oltre alla infruttuosa ricerca di chiavi nonché del telefono cellulare della vittima e degli indumenti sporchi di sangue di cui la giovane, secondo l’ipotesi accusatoria, si sarebbe liberata, c’è un altro nodo da sciogliere e, come in tutti i casi di omicidio, si tratta della determinazione dell’orario presunto della morte di Stefania Camboni.
Un elemento su cui sembrerebbe pesare una grave incognita perché la temperatura basale rilevata sul cadavere della donna sarebbe stata presa molte ore dopo il suo decesso rendendo difficile l’indicazione di una fascia oraria almeno orientativa, da confrontare, innanzitutto, con il racconto fatto da Giada e secondo la quale alle 4.30 del mattino Stefania Camboni russava ed era dunque ancora viva.
La parola conclusiva spetta in tal senso al medico legale che ha effettuato l’autopsia per conto della Procura ma che ha preannunciato di volersi prendere il tempo massimo di 90 giorni concesso dalla legge per presentare le sue conclusioni.
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