Emergono altre indiscrezioni dall’inchiesta giudiziaria sull’omicidio di Fregene. L’arma del delitto servita per uccidere Stefania Camboni, assassinata nella sua casa di via Santa Teresa di Gallura il 16 maggio scorso, potrebbe essere un coltello facente parte di un set da cucina con altre quattro lame di diverso spessore. Set che sarebbe stato regalato da Giada Crescenzi, rinchiusa nel carcere di Civitavecchia con l’accusa di omicidio aggravato, a Francesco Violoni, suo ex fidanzato nonché figlio della donna con cui la coppia condivideva la villetta situata a due passi dal mare.
Schermaglie tra i legali coinvolti nell’omicidio di Fregene, la famiglia è convinta della colpevolezza di Giada che dal carcere di Civitavecchia ribadisce la sua innocenza
Il coltello mancante, invano cercato dagli inquirenti tra gli oggetti appartenenti ai due giovani e presenti in casa dal momento in cui, più di un mese fa, si erano trasferiti dalla madre di lui sarebbe, infatti, compatibile con le ferite di arma da taglio che hanno causato la morte della signora.
Una circostanza che, insieme ad altri riscontri emersi durante i rilievi scientifici effettuati dai Ris sulla scena del crimine, secondo l’avvocato della famiglia, Massimiliano Gabrielli dimostrerebbe, in modo inequivocabile l’estraneità di Violoni al delitto: “la sua posizione è definitivamente chiarita ed esce da quell’ombra di dubbio inerente non solo a una sua diretta responsabilità nell’omicidio, ma anche in relazione a un’eventuale accusa di favoreggiamento per coprire Giada. La mancanza di un coltello compatibile con l’azione delittuosa inchioda l’indagata, colpevole di una condotta solitaria e decisa solo nel corso della notte”.
Di tutt’altro tenore l’interpretazione della difesa di Giada affidata alle avvocatesse Anna Maria Anselmi e Maria Grazia Cappelli: “se partiamo dal presupposto che il set era un regalo della nostra assistita e che Francesco utilizzava giornalmente quei coltelli per cucinare ce lo dicesse lui, allora, dove è finito quel coltello non repertato nel verbale di sequestro poiché scomparso. Il fatto che manchi non dimostra in alcun modo che Giada sia colpevole come se su quell’oggetto fossero state trovate le sue impronte o il suo Dna”.
Francesco Violoni fuori dal radar della procura
“E’ il momento di chiarire due punti – incalza Gabrielli dal versante opposto- il primo è che Francesco Violoni è uscito definitivamente dal radar della pubblica accusa. E’ stato sentito tre ore per sommarie informazioni testimoniali dal pm confermando molte circostanze a carico dell’ex fidanzata, non è indagato e non lo sarà ad alcun titolo per l’omicidio della madre. In secondo luogo non ci sono moventi o piste alternative, men che meno legate a ragioni economiche, debiti della vittima, o barattoli di nutella oggetto di dissidi o discussioni tra le due donne”.
Il ‘vero’ movente del delitto
Per il legale della famiglia Camboni l’impulso che avrebbe spinto la 30enne a uccidere “sembra ormai potersi ricondurre, alla luce delle informazioni, documenti e dichiarazioni raccolte e fornite anche da Francesco Violoni a una lite scaturita tra le due donne quella notte probabilmente a causa del furto del portafogli della vittima da parte della Crescenzi. Furto avvenuto qualche giorno prima del crimine e al deterioramento profondò della condizione psicologica vissuta dall’autrice del gesto, anche in relazione alla convivenza forzata con la vittima, alle difficoltà economiche e all’abuso di psicofarmaci che si era progressivamente accentuata nell’indagata”.
Anche rispetto a queste conclusioni l’avvocato Anna Maria Anselmi cade dalle nuvole: “In attesa che Giada venisse interrogata dalla procura, proprio Francesco Violoni ha detto, davanti a me, che il portafoglio della signora era stato sottratto o perso dalla madre in occasione di una serata cui aveva preso parte alcuni giorni prima della sua morte, e che quel portafoglio era di poco conto”.
“Conteneva pochi bigliettini scritti a mano da lei e qualche spiccio, tanto che furono proprio i famigliari a escludere di fare una denuncia per furto. Allora parliamo della sparizione di un altro portafoglio e anche questo ce lo dovranno dimostrare”.
La scelta dell’indagata di avvalersi della facoltà di non rispondere
Intanto nell’interrogatorio di garanzia chiesto dal pm Eugenio Rubolino e fissato nel pomeriggio di ieri, giovedì 29 maggio, Giada Crescenzi si è nuovamente avvalsa della facoltà di non rispondere: “una scelta motivata dalla difesa per un suo presunto stato di turbamento e confusione originato dalle accuse che le verrebbero rivolte ingiustamente. Penso invece -puntualizza l’avvocato della famiglia, Massimiliano Gabrielli- che la decisione di mantenere nuovamente il silenzio confermi che se l’indagata avesse effettivamente risposto il sostituto procuratore l’avrebbe inevitabilmente posta di fronte agli esiti inequivocabili dei rilievi scientifici effettuati dai Ris nella casa, tra cui le impronte e altri reperti che la inchiodano definitivamente”.
Ma la difesa di Giada replica e tiene duro anche su questo punto. “Avvalersi della facoltà di non rispondere è un diritto costituzionalmente garantito all’imputato. Non se ne abbiano a male né i difensori della famiglia, né gli inquirenti perché si tratta di una prerogativa fondamentale in un processo di stampo ancora sostanzialmente inquisitorio. Tanto che Giada sarebbe stata costretta a rispondere al buio alle domande del pm”.
“Le nostre posizioni restano molto distanti. I processi non si fanno sui giornali, ma nelle aule di giustizia e, purtroppo, le regole che disciplinano le indagini preliminari nel nostro sistema penale sono totalmente diverse da quelle di tipo accusatorio che vigono, per esempio, negli Stati Uniti dove le prove vengono portate sigillate, di volta in volta, a conoscenza di tutte le parti coinvolte. Siamo costretti a muoverci in un contesto procedurale zoppo e nel quale proprio la scelta di non rispondere può essere determinante per preparare una solida e coerente linea di difesa”.
“Non ci è stato neppure consentito di partecipare agli accertamenti irripetibili effettuati nella casa nei giorni seguenti a quelli del delitto. Eppure la procura aveva invitato sia noi, sia i legali della famiglia Camboni a nominare, con un ulteriore aggravio dei costi, i periti chiamati a rappresentarci. Consulenti che invece sono stati tenuti fuori della villetta tutti bardati con tanto di tuta occhiali e poi rimandati a casa mentre i militari del Ris facevano le loro valutazioni. Se all’interno di una cornice come questa -aggiunge Anna Maria Anselmi- volevano una confessione, possono anche scordarsela perché Giada protesta la sua innocenza e non ha paura di restare in carcere anche per un anno, termine di decadenza della custodia cautelare prevista per il capo d’accusa di cui deve rispondere”.
Le incertezze sulla possibilità di stabilire l’orario esatto della morte
Nel frattempo il medico legale che ha effettuato i rilievi autoptici sul corpo di Stefania Camboni ha preannunciato di volersi prendere il tempo massimo di 90 giorni concesso dalla legge per presentare le sue conclusioni.
L’impressione è che anche sull’orario esatto della morte aleggi ancora la massima incertezza. Un’incertezza destinata a pesare come una spada di Damocle sospesa sul possibile accertamento della verità perché Giada Crescenzi ha riferito di aver sentito la futura suocera russare alle 4.30 del mattino. Dice la verità oppure sta mentendo?
“Non ci sono dati esatti in merito -puntualizza l’avvocato Massimiliano Gabrielli- purtroppo sembra che il medico legale sia giunto sul posto solo nella tarda mattinata successiva alla notte del delitto e che la temperatura basale rilevata sul cadavere in quel momento potrebbe impedire in modo definitivo di arrivare a un risultato preciso”.
“Pare che l’omicidio possa essere avvenuto in un arco temporale compreso tra le due di notte e le cinque del mattino. Ma si tratta solo di uno degli elementi che gravano sulla piena responsabilità dell’indagata. Auspichiamo ora che l’autorità giudiziaria possa concludere celermente la definizione del quadro indiziario rendendo piena giustizia alla memoria della vittima e alla sofferenza di chi è rimasto”.
Anche secondo la difesa di Giada Crescenzi l’orario della morte suscita forti dubbi e si presenta come “molto ballerino ma allora -rileva Anna Maria Anselmi- non si può neppure escludere, per esempio, che l’omicidio possa essere avvenuto tra le 21.00 e le 22.00 quando in casa, insieme a Giada, c’era anche Francesco Violoni che è uscito solo alle 22.30 per recarsi in aeroporto, dove presta servizio come guardia giurata. Se così fosse e se la perizia finale ci darà un range molto ampio sull’ora presunta della morte della signora neppure Violoni potrebbe essere scagionato in modo definitivo”.
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