Meningite scambiata per mal di testa: per la morte di Valeria Fioravanti 3 medici accusati di omicidio colposo

Morta per una meningite non diagnosticata. Fissata l'udienza preliminare a carico di tre medici

Valeria Fioravanti

La meningite batterica scambiata in un ospedale per mal di testa e in un altro ospedale per lombosciatalgia. Dietro al caso di Valeria Fioravanti – la 27enne romana  morta il 10 gennaio 2023 dopo giorni di dolori devastanti  e il giro di più ospedali – ci sarebbero state terapie sbagliate frutto di visite e diagnosi superficiali.

Morta per una meningite non diagnosticata. Fissata l’udienza preliminare a carico di tre medici

Sono le conclusioni della procura di Roma pronta a chiedere il processo con l’accusa di omicidio colposo per 3 medici: visitarono in due pronto soccorsi diversi la 27enne senza riconoscere i sintomi della meningite, condannandola così a una morte altrimenti evitabile.

Il primo era in servizio al Policlinico Casilino, gli altri due all’ospedale San Giovanni. L’udienza preliminare a carico dei tre camici bianchi è stata fissata per il 21 marzo.

La consulenza medico legale – che ha spinto la procura a formulare l’imputazione – ricostruisce una serie di errori di valutazione. La malattia che uccise la ragazza non venne riconosciuta, non si eseguirono in tempo esami specifici nonostante il quadro clinico suggerisse la meningite.

Valeria Fioravanti, mamma da un anno e dipendente di Aeroporti di Roma, all’epoca era una ragazza serena e realizzata: viveva a Frascati col compagno e la loro bambina di un anno. Impossibile per la famiglia rassegnarsi.

Le diagnosi sbagliate

La prima diagnosi sbagliata – secondo la consulenza in mano alla procura – viene formulata al policlinico Casilino: per i sanitari la cefalea – un forte mal di testa – riferito dalla giovane all’arrivo in pronto soccorso poteva essere causata da un movimento brusco dei giorni precedenti.

Il secondo errore, una settimana dopo, al San Giovanni Addolorata: il dolore di Valeria qui viene ricollegato a una lombosciatalgia.

Per la procura i medici  non furono accurati nel visitare la paziente. La mancata diagnosi e la somministrazione di un antinfiammatorio, che anestetizzava il dolore e non guariva la meningite, ha di fatto portato alla morte la 27enne nonostante si rivolse quattro volte in ospedale in pochi giorni.

Il caso

Il 25 dicembre 2022 Valeria Fioravanti viene operata al Campus Biomedico (estraneo all’inchiesta) per un linfonodo sotto l’ascella.

Il 29 dicembre la ragazza sta male. “Intensa cefalea, non risponde a tachipirina, vertigini da due giorni associate a cervicalgia”, scrive il medico del Casilino che la visita.

Il medico le somministra del Toradol e le prescrive una terapia con lo stesso antinfiammatorio.

Il 30 dicembre è di nuovo al Policlinico, chi la visita le fornisce indicazioni più precise su come trattare la ferita sotto l’ascella. Valeria sta sempre peggio, passa a casa il Capodanno.

Il 4 gennaio decide di andare in un altro pronto soccorso, quello del San Giovanni Addolorata. La ragazza spiega di avere dolore in tutto il corpo e in particolare sulla nuca. I due medici che la visitano dispongono una tac lombo sacrale. La diagnosi finale: sospetta lombosciatalgia.

La 27enne viene dimessa, i sanitari le somministrano altro Toradol. Due giorni dopo – è il 6 gennaio – la situazione precipita e Valeria viene riaccompagnata al San Giovanni.

La diagnosi giusta (ma purtroppo tardiva)

Chi la prende in cura dispone subito una tac celebrale. Il responso: meningite acuta in fase conclamata. La giovane finisce in terapia intensiva.

Il 7 gennaio in coma viene trasferita al Gemelli, dove i medici non riescono a strapparla alla morte. Era troppo tardi.

Una infermiera mi maltrattò anche“, non si dà pace la madre.