Sergio Mattarella è il XIII Presidente della Repubblica. Succede a se stesso dopo essere stato supplicato dai leader di partito in crisi di identità, messi all’angolo dai peones che non volevano rischiare il ritorno anticipato alle elezioni politiche e quindi l’abbandono della confortevole e ben remunerata poltrona in Parlamento.
Rieletto Capo dello Stato Sergio Mattarella, si scatena l’ironia sul web ma c’è ben poco da ridere
Sergio Mattarella alle ore 20,20 ha superato la maggioranza dei voti espressi dai “grandi elettori” al sesto giorno di convocazione in aula. Tre minuti di applausi hanno salutato l’evento. Lo spoglio, terminato alle 20,41 ha fatto registrare 759 preferenze per Mattarella, 90 per Carlo Nordio (candidato di Fratelli d’Italia) e 37 per Nino Di Matteo (scelto da Alternativa). Si sono contate 25 schede bianche il resto dei voti è andato ad altri (Berlusconi 9, Belloni 6, Casini 5, Draghi 5, Casellat9i 4).
L’intesa politica è maturata nella mattinata nel corso del vertice di maggioranza che ha sancito il fallimento della politica e, probabilmente, la fine della Terza Repubblica. La “supplica” nei confronti di Sergio Mattarella a restare al Quirinale è giunta dopo che a destra si sono “bruciate” candidature più o meno di prestigiose figure istituzionali, impallinate dai veti della sinistra e del M5S.
I pentastellati, partito ormai liquefatto, sono stati pesantemente condizionati dai peones: aver proposto la candidatura di Draghi al Quirinale o di qualsiasi altra figura forte, avrebbe significato il crollo del castello di carte che lega insieme il governo. Avrebbe significato come minimo rinunciare alla gestione di due anni del ricco bottino del Pnnr e, come massimo, abbandonare il confortevole e ben remunerato scranno in Parlamento.
Per la gran parte degli attuali senatori e deputati, infatti, difficilmente si ripresenterà l’occasione di tornare nel Palazzo, stante la riduzione di membri al Senato (dagli odierni 315 a 200) e della Camera (da 630 a 400) già con le prossime elezioni Politiche.
Tatticismi, mancanza di leadership, ruolo dominante dei fuoriusciti dai partiti sono le cause che hanno portato alla riconferma di un equilibrio di governo e, quindi, di Mattarella e Draghi. Tutto cambi perchè nulla cambi. Lo stesso presidente si è messo a disposizione con spirito di servizio, consapevole del drammatico momento (di pandemia, di tensioni internazionali e di crisi energetica) che ha bisogno di stabilità e di continuità nel Paese.
La vicenda dimostra alcuni aspetti che i nostri legislatori devono assolutamente riformare. Innanzitutto, sono maturi i tempi per una profonda revisione delle norme costituzionali relativamente alle modalità di elezione del Presidente della Repubblica e del vincolo di mandato per chi è eletto in parlamento. La nomina del Capo dello Stato deve essere sottratta alle logiche di partito e alle strategie di gruppo (basti pensare che c’è chi ha proposto al Quirinale il capo sei Servizi Segreti): la democrazia più potente al mondo, quella vigente negli Usa, dimostra che si può fare. Il suffragio universale con la verifica di medio termine sembrano ormai uno modello da seguire.
Un altro punto giuridico da inserire nella Costituzione è quello del vincolo di mandato: troppi voltagabbana sono oggi messi in grado di tenere in ostaggio le scelte di un Paese che ha bisogno di coerenza e linearità. E non sarebbe disdicevole restituire agli elettori larga parte delle scelte dei candidati: il sistema uninominale, con un solo candidato per partito in ogni collegio, non può che rinforzare il legame dell’eletto con il suo territorio.
Sui social e nel tamtam tra smartphone è esplosa l’ironia, quasi uno sberleffo verso i rappresentati delle istituzioni che non hanno saputo trovare di meglio che un uomo di 80 anni “costretto” a restare garante di un popolo disorientato e mal rappresentato.
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