Alla scoperta del Teatro Patologico, il capolavoro di Dario D’Ambrosi

Dario D'Ambrosi direttore del Teatro Patologico di Roma si racconta in occasione della messa in onda del film-documentario "L'Odissea" di Domenico Iannacone.

Dario D'Ambrosi. Fotografia di Federica Di Benedetto.

Carismatico, eclettico e dalla roboante personalità, Dario D’Ambrosi, milanese classe 1958, è uno dei maggiori artisti d’avanguardia italiani, creatore del movimento teatrale chiamato “Teatro Patologico“.

Dario D’Ambrosi direttore del Teatro Patologico di Roma si racconta in occasione della messa in onda del film-documentario “L’Odissea” di Domenico Iannacone

Attore, regista a autore di spettacoli che rappresentano i pensieri e i comportamenti di chi è affetto da disabilità psichica, Dario D’Ambrosi è da oltre quarant’anni anni uno dei più interessanti fenomeni teatrali della scena nazionale e internazionale.

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A sinistra D’Ambrosi con Papa Francesco. A destra D’Ambrosi premiato con la Lupa Capitolina nel 2014.

Dal debutto a soli diciannove anni nel celebre “Cafè La MaMa” di Ellen Steward a spettacoli diretti, interpretati e rappresentati nelle maggiori città italiane, europee (Barcellona, Amsterdam, Monaco, Londra, Stoccolma e Bruxelles) e d’oltreoceano (New York, Boston, Chicago, Cleveland, Los Angeles e Detroit), la carriera di Dario D’Ambrosi è stata un crescendo di successi tra teatro, cinema e televisione.

Nel 1997 appare nel film “Don Milani” al fianco di Sergio Castellitto e nel 1999 lavora al fianco di Anthony Hopkins e Jessica Lange in “Titus” di Julie Taymor. Interpreta il commissionario Monti nella serie “Uno bianca” di Michele Soavi. È il flagellatore ne “La Passione di Cristo” di Mel Gibson. Recita nel ruolo dell’Ispettore Canton nella fiction “Romanzo Criminale“.

Ma il suo capolavoro rimane il “Teatro Patologico“, nato nel 1992 e attualmente nella sede stabile di Via Cassia 472. Proprio all’interno di questo spazio è nata “La magia del Teatro”, la Prima Scuola Europea di Formazione Teatrale per persone con diverse abilità.

Un progetto di inclusione e di integrazione che ha portato alla rappresentazione di spettacoli di assoluto valore (“Medea“, “La Divina Malattia“, “Tito Andronico” tra i tanti), omaggiati e premiati in tutto il mondo.

Il metodo di lavoro di D’Ambrosi nel Teatro Patologico viene studiato presso la New York University, l’Akron University di Cleveland e la Hayward University di San Francisco. Nel 2018 l’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata” ha avviato il Corso Universitario di “Teatro Integrato dell’Emozione”.

Un ulteriore riconoscimento al grande lavoro svolto da D’Ambrosi è giunto dal giornalista Domenico Iannacone attraverso la realizzazione del film-documentario “L’Odissea“. Si tratta di un viaggio nella disabilità mentale attraverso le vite di Paolo, Fabio, Claudia, Marina e Andrea, tutti attori affetti da disagio psichico impegnati nella preparazione dello spettacolo “Ulisse e il suo viaggio“. “L’Odissea” ha guadagnato la prima serata di Rai Tre in occasione della Giornata Mondiale della consapevolezza dell’autismo, venerdì 2 aprile 2021.

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Dario D’Ambrosi e Domenico Iannacone.

Questo spettacolo ha rappresentato una tappa fondamentale nel percorso di teatro-terapia che il Teatro Patologico porta avanti con coraggio e fatica da oltre trent’anni. Mettere in scena l’Odissea è sempre una sfida, farlo con una compagnia di attori diversamente abili lo è ancora di più. Domenico Iannacone ha avuto come sempre la capacità e la sensibilità di capire che quello che stavamo provando a fare era qualcosa di straordinario e ha deciso di raccontare questa avventura, umana oltre che teatrale. Domenico si è battuto affinché questa opera potesse andare in prima serata, e per il nostro Ulisse sbarcare in prima serata su Rai Tre è stata una soddisfazione straordinaria. Il giusto coronamento di tanti anni di lavoro molto spesso riconosciuto più all’estero che in Italiaracconta Dario D’Ambrosi

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Una scena dallo spettacolo “Ulisse e il suo viaggio”. Fotografia di Pino Rampolla.

La solitudine di Ulisse nel suo viaggio è paragonabile a quella dei suoi ragazzi? Affetti da disagio psichico, spesso si sentono emarginati e ne soffrono. L’Odissea diviene la metafora del loro percorso esistenziale di crescita?

Assolutamente sì. Ulisse, eroe tragico ma coraggioso, è una figura esemplare ma spesso costretta ad agire in solitaria, a combattere per vedere affermata la propria identità e il proprio diritto a seguire le passioni, la conoscenza, la profonda curiosità di uomo che non si ferma al mondo conosciuto, alle regole del sociale.

Insomma Ulisse rispecchia il dramma dell’attore disabile della compagnia del Teatro Patologico che in scena ripropone il proprio isolamento, l’emarginazione di cui è vittima, il desiderio di lotta perché i propri diritti vengano riconosciuti e la propria identità integrata nel tessuto civile in cui vive. Il problema dell’esclusione è quello di non riconoscere in molti la possibilità di poter convivere in maniera civile in una società dove vengono accettati anche i più deboli.

La voglia di rivincita dopo un rifiuto è un’umiliazione che spesso porta a solitudine e sconforto ma soprattutto a una mancanza di fiducia in se stessi. E come spesso accade, solo l’amore può far superare il tutto. L’emarginazione di Ulisse, uomo nuovo che sogna il ritorno nell’amata Itaca, combattendo contro le difficoltà che gli ostacolano il viaggio verso casa, è specchio profondo della quotidianità che il disabile vive da parte di chi non lo comprende, non lo sostiene e non lo accoglie come parte importante e desiderata della comunità.

Il rifiuto che il protagonista vive da parte dei propri uomini che non riconoscono il sovrano che torna a casa, la sfiducia di chi lo ha seguito nel lungo peregrinare, si rivela nell’impotenza che il disabile sopporta da parte di chi teme la figura del diverso, impedendo che esploda nella sua specialità di uomo donante, di risorsa per sé e gli altri. Ma come Ulisse che sogna il riscatto e lo ottiene, riappropriandosi della propria casa e della propria terra grazie alle sue doti di uomo di intelletto e arguzia, così anche il disabile psichico richiede a gran voce la propria integrazione nella società, la possibilità di contribuire a un’evoluzione del proprio posto nel mondo.

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Lo spettacolo “Ulisse e il suo viaggio” a Ostia (Roma). Fotografia di Pino Rampolla.

Riferendoci a questo periodo di pandemia, l’Odissea può essere metafora anche delle tante difficoltà affrontate sia dal Teatro Patologico che da questi straordinari attori?

In tutta questa avventura, lo scoppio della pandemia ha rappresentato l’ostacolo più grande, a tratti insormontabile. Avevamo cominciato le prove a gennaio e quando a inizio marzo è stato imposto il lockdown abbiamo visto naufragare tutte le nostre aspirazioni. Quei lunghi, interminabili mesi, hanno segnato profondamente i nostri attori disabili. Le famiglie ci chiamavano; erano disperate! Vedevano i loro figli regredire, andare in crisi e noi ci sentivamo impotenti di fronte a tutto questo. Il teatro in questi anni li aveva aiutati a socializzare, integrarsi, gli aveva dato gli strumenti necessari per comunicare e condividere le proprie emozioni.

Il Covid sembrava annientare tutti questi anni di terapia e sperimentazione. Quando a maggio 2020 ci è stato poi concesso di riprendere le attività non è stato come ricominciare da 0 ma almeno da -10. Alcuni dei nostri ragazzi erano come catatonici, faticavano a riproporre le cose più semplici, fatte e provate mille volte nel passato, faticavano a concentrarsi e a esprimersi. È stata dura, molto dura, ma proprio per questo l’aver compiuto con successo la nostra Odissea è stato ancora più emozionante e soddisfacente .

Il documentario ha segnato un 2.1% di share a fronte di una media di 496.000 spettatori. Andando oltre questi dati, forse un po’ bassi, quale è stato il reale riscontro che ha percepito in merito?

Il dato oggettivamente non è molto alto. Non entro nel merito di come viene calcolato lo share, perché non è il mio campo e neanche mi interessa. Posso certamente dire che programmare la nostra Odissea il Venerdì Santo, quando si sa che tutta l’attenzione della Rai è concentrata sulla Via Crucis del Papa trasmessa su Rai Uno non è stata forse l’idea migliore per valorizzare e dare visibilità al bellissimo film-documentario che Iannacone ha fatto su di noi.

Posso però dire una cosa: durante e dopo la messa in onda de “L’Odissea” siamo stati travolti da decine e decine di migliaia di messaggi sul nostro sito e sui social. Una vera e propria valanga di complimenti e attestati di stima che ci ha travolto e che non si ferma neanche adesso. Persone di tutte le età, da ogni parte di Italia, non smettono di manifestarci la loro commozione e la gratitudine per quello che abbiamo fatto e che stiamo continuando a fare.

queste sono persone in carne ed ossa, non numeri campionati e ponderati, sono anime vere e sensibili che dimostrano come il nostro coraggio, e quello di Domenico Iannacone, abbiano vinto la sfida. Il nostro Ulisse è partito dalla spiaggia di Ostia dove abbiamo messo in scena lo spettacolo per poi approdare nel cuore di migliaia e migliaia di persone.

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Lo spettacolo “Medea” eseguito nella sede ONU di New York.

Una domanda sulla “Medea” è d’obbligo. Parliamo di uno spettacolo che ha calcato i palcoscenici di tutto il mondo. Un ricordo particolare legato a questa incredibile esperienza?

La nostra Medea ha davvero girato il mondo, è vero. L’abbiamo portata in giro per l’Italia, in Sudafrica a Johannesburg, in Giappone a Tokyo, a Londra dove nel 2013 ha vinto il Wilton’s Price come migliore spettacolo straniero, al Parlamento Europeo di Bruxelles e ovviamente a New York, che è la mia seconda casa. A New York, appunto, la Medea è stata presentata al glorioso Cafè LaMaMa vero e proprio tempio del teatro sperimentale e soprattutto è stata rappresentata al Quartier generale delle Nazioni Unite, difronte a delegati di tutti il mondo, che al termine dell’esibizione si sono alzati in piedi e non smettevano più di applaudire. Questo forse è stato il ricordo più significativo ed emozionante legato alla Medea.

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Foto di gruppo al Parlamento Europeo di Bruxelles in occasione della messa in scena dello spettacolo “Medea”.

Passando al cinema, come è stato il primo incontro con Mel Gibson?

Premetto che lavorare nel film di Gibson è stata un’esperienza unica. Ricordo che mi recai al provino a Roma, in zona Cola di Rienzo. Erano circa le 17. Ero lì sotto gli studi. Decisi di non presentarmi. Mi prese il panico e ancora non me lo spiego. Tutto il cinema italiano era a quel provino ed io me stavo tornando a casa. La mia agente mi chiamò, piuttosto alterata, dicendomi che Mel mi avrebbe aspettato a qualunque ora fossi riuscito ad arrivare. Era un invito che non potevo rifiutare. Giunsi in serata. Nello studio era tutto spento. Mel sembrava dormire poggiato su un tavolo illuminato da una luce fioca. La responsabile dei provini, una persona che purtroppo poi è venuta a mancare, mi presentò a lui.

Gli disse che ero un attore che aveva lavorato negli Stati Uniti, al Cafè La MaMa di New York. Mel Gibson ne rimase affascinato. Poi parlammo del film “Il ronzio delle mosche” dove avevo diretto Greta Scacchi. Lui adorava Greta Scacchi! Infine disse che non c’era bisogno di parlare del suo film con chi aveva recitato al Cafè La MaMa… Un attore che aveva calcato quel prestigioso palco doveva per forza di cose recitare nella sua pellicola. Così divenni il flagellatore ne “La Passione di Cristo“.”

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Dario D’Ambrosi mentre interpreta il flagellatore nel film “La Passione di Cristo” di Mel Gibson.

Cosa possiamo aspettarci dal Teatro Patologico nel prossimo futuro?

È difficile adesso prevedere e soprattutto programmare il futuro, anche quello più prossimo. Restando in tema di Ulisse, stiamo navigando a vista. Speriamo di poter riattivare a maggio i corsi di teatro-terapia; i nostri ragazzi e le loro famiglie ne hanno davvero bisogno. E magari di riproporre L’Odissea (nella versione teatrale) nell’anfiteatro allestito all’esterno del Teatro Patologico.

Di sicuro dal primo al cinque giugno si terrà la dodicesima edizione del Festival Internazionale del Cinema Patologico, primo e unico al mondo con una giuria interamente composta da persone con disabilità fisica e psichica. Nel corso di questi anni abbiamo sempre avuto ospiti illustri: da Matteo Garrone a Marco Giallini, da Claudio Santamaria a Edoardo Leo, da Anna Foglietta a Claudia Gerini, tutto il cast della serie Romanzo Criminale di cui ho avuto la fortuna di far parte, e poi ancora Simone Cristicchi, Maurizio Battista, Sabrina Impacciatore e il mio (e di tutto il Teatro Patologico) carissimo amico Sebastiano Somma. E anche per questa edizione contiamo di poter fare qualche bella sorpresa al nostro pubblico.”

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Dario D’Ambrosi con Claudia Gerini e Sebastiano Somma al Festival del Cinema Patologico.

Per approfondire.

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