Roberto Filibeck: “Magistratura e Campidoglio non si accorgono che hanno ucciso Ostia e la sua economia”

Sequestri a orologeria, ritardi del Campidoglio, disservizi e inadempienze: un mix micidiale per Ostia e il turismo

Il sigillo di sequestro dello stabilimento "La Mariposa" di Ostia - canaledieci

E’ un “martirio”, un piano scellerato che sta uccidendo Ostia e la sua economia, sta cacciando i romani dalle loro spiagge, allontana turisti e investitori. Il sequestro con la chiusura di molti stabilimenti balneari, il disservizio della spiaggia libera di Castelporziano priva di presidi pubblici e privati, sono colpi mortali per una cittadina, Ostia, alle prese già con una pessima reputazione alimentata dalla “supercazzola” istituzionale e da serie tv tossiche.

Sequestri a orologeria, ritardi del Campidoglio, disservizi e inadempienze: un mix micidiale per Ostia e il turismo

Per tutta questa serie di premesse, pubblichiamo volentieri la lettera aperta scritta da Roberto Filibeck, giornalista di lungo corso (Paese Sera e Ansa) e scrittore di romanzi. Eccone il contenuto.

La lettera aperta

Non me la prenderò con quegli agenti in divisa – che appartengano alla Guardia di Finanza, Carabinieri, Polizia o alla Polizia municipale poco importa –  che in queste settimane stanno facendo “visita” ad alcuni storici stabilimenti balneari allineati sul lungomare di Ostia, perché ritenuti non in regola e/o perché rei di avere commesso in passato degli abusi edilizi. Con quale risultato finale, peraltro? La totale chiusura dell’attività.

Sì, avete capito bene. Chiusura. Sigilli imposti dal magistrato di turno, che ha impartito queste disposizioni, sulla base di non si capisce bene quali accertamenti effettuati. E’ per questo motivo che, invece, me la prendo con quest’ultima autorità.

Il potere giudiziario. Quello che dovrebbe – il condizionale in questo caso è d’obbligo – rappresentare un ordine autonomo e indipendente, che “gode di piena autonomia e libertà  sulla base della separazione dei poteri” ( …) come è scritto testualmente nei testi di Diritto costituzionale. Ora la domanda più che legittima che in molti si sono posti in questi giorni, compreso il mio collega che di recente ha scritto un bellissimo articolo su quanto sta avvenendo ad Ostia, il quale ha ripetutamente parlato di “Timing sbagliato”, è perché proprio adesso? In piena stagione balneare. Questo equivale a passare con un una ruspa sopra le auto, perché lasciate in divieto di sosta. Un danno irreparabile per l’economia di Ostia, per tutti quegli imprenditori che hanno investito, assunto personale, venduto gli abbonamenti stagionali, preso accordi con i centri estivi all’interno degli stabilimenti balneari. E un danno, forse quello più grande, al tessuto sociale. E non solo di Ostia. Perché in fondo Ostia, avrà pure il mare “non griffato” della Costa Smeralda, sarà pure il “blu” di serie B, ma è, e resta comunque il mare dei romani. Quello della gita fuori porta, giusto per fare un bagno, mangiare un fritto di pesce ed un gelato.

Perché di fatto di questo si tratta. La dimensione umana. Quella del poliziotto in pensione, abbonato, che non vede l’ora di recarsi al mare per prendere un caffè in riva al mare e fare una partita a carte con i suoi vecchi amici, mentre la brezza marina gli carezza il volto. Oppure del bambino che, una volta terminata la scuola, non aspetta altro se non poter fare il bagno e giocare a riva con i suoi coetanei a fare i castelli di sabbia. E ancora: penso a tutte le mamme e ai papà che facevano affidamento sui centri estivi, un valido supporto alla scuola, per consentire loro di recarsi serenamente al lavoro.

Per questo suggerirei di toglierci tutti quanti di dosso “le divise”, per ritornare ad essere semplicemente e “solo” degli esseri umani. Con un cuore, sentimenti e sensibilità, ma soprattutto comprensione.

Ergo. Perché questo/i magistrato/i non ha/hanno pensato a tutto questo prima di agire?  Se ci sono arrivato io – e non mi sento proprio nessuno oltre ad essere un giornalista nato e cresciuto ad Ostia, ma prima di questo un cittadino di questa cittadina balneare che amo – perché non loro? Quale è l’obiettivo che si cela dietro questi assurdi provvedimenti? Forse quello di creare danni al massimo livello?
Perché in fondo di questo si tratta.
Non mi viene in mente altro, se non la stessa frase ridondante scritta dal mio stimato collega. Timing totalmente errato.
Altrimenti avrebbero potuto agire mesi prima, durante la stagione invernale. Avrebbero avuto tutto il tempo di farlo. Invece no. Ed ecco partire i provvedimenti nei confronti di imprenditori storici, come Ruggero Barbadoro, proprietario dello stabilimento “Il Venezia”, poi a seguire il titolare di un altro eccellente stabilimento, “Il Capanno”, considerato da sempre come uno dei punti di riferimento per le famiglie di Ostia e così via. Stesso iter per altri impianti del territorio.

Non entrerò nel merito del perché. Non sta certo a me stabilire l’entità degli abusi e se erano così gravi, al punto tale da richiedere la totale – e mi auguro temporanea – chiusura delle attività. Sta di fatto che questo è un altro tassello che va ad aggiungersi alla già pessima gestione del territorio, che sta subendo un degrado senza precedenti. Sono sotto gli occhi di tutti potature e abbattimenti avvenuti recentemente dei pini malati della Pineta di Castefusano, forse il più importante “polmone verde” della Capitale. Perché non curarli prima – pur se ben consapevoli del problema e delle possibili conseguenze – e aspettare che si ammalassero definitivamente, con il rischio che crollassero? Conseguenza inevitabile l’abbattimento di centinaia di piante che hanno impiegato decenni per crescere.
Stesso discorso vale per la gestione degli spazi verdi pubblici, le strade di Ostia, alcune fontane storiche lasciate in stato di abbandono; la ventilata vendita dello storico trampolino del Kursaal, progettato negli anni ’50 dall’architetto Attilio Lapadula e realizzato dall’ingegner Pierluigi Nervi, simbolo per eccellenza del mare di Roma.

Mi piange il cuore ad assistere a tutto ciò.
Eppure Ostia fino verso la fine degli anni ’80 non erano tenuta in questo stato. Sarebbe sufficiente ammirare dello storiche cartoline della cittadina, per rendersi conto delle differenze. Il verde curato e le fioriere del Pontile, biglietto d’ingresso della città: così come egli altri spazi di verde. I cancelli di Castelporziano, una delle spiagge più grandi d’Europa e, ahimè, tra le più appetibili su cui molti gruppi stranieri da sempre vorrebbero mettere le mani. A cavallo degli anni ’70 e ’80 quegli ampi arenili erano considerati come un gioiello sulla via litoranea. Scelti persino come location per molti film italiani e stranieri e, non da ultimo per un videoclip del famoso gruppo rock U2.

Peraltro, anche lì il verde era ben gestito da un apposito servizio del Comune, presente sul posto con delle postazioni fisse.
La lista sarebbe lunga, lunghissima di esempi come questi.

Però preferisco fermarmi qui. Per questo mi auguro che le autorità, le stesse che stanno permettendo tutto questo, facciano un passo indietro e riflettano bene, prima di agire in modo così drastico e razionale. Perché anche loro, immagino, avranno dei figli che desiderano andare al mare, oppure giocare a pallone in uno spazio verde pubblico; avere le stesse esigenze dei loro simili, ovvero mandare i propri figlioli nel centro estivo in riva al mare, durante la pausa di vacanze scolastiche. Magari non ad Ostia. Ma il principio non cambia.
Per questo, ripeto, occorre svestirsi.
Scrollarsi di dosso quelle “divise” che si indossano quotidianamente, quando ci si reca al lavoro per cercare di tornare ad una dimensione decisamente più umana. Perché in fondo abbiamo bisogno anche di questo. Della chiacchierata e del caffè da gustare, insieme con un buon amico, nel patio del bar “incastonato” nello stabilimento balneare; della nuotata tra due vecchi amici a chi arriva prima alla boa.  Ripeto  (repetita iuvant)  di questo hanno bisogno i cittadini.

Che siano di Ostia – cittadina alle prese forse con uno dei momenti più neri dalla sua nascita – o di qualsiasi altra località italiana.  E non dell’arroganza dei sigilli apposti dal magistrato di turno.

Roberto Filibeck
giornalista e scrittore