Se la Festa della Donna si trasforma in farsa della donna

Festa della donna: un rituale vuoto che ormai tradisce le sue stesse origini

Un bicchiere di prosecco in omaggio, tavoli decorati con rametti di mimose, locali pieni di donne che celebrano. La scena si ripete identica ogni anno, un rituale vuoto che tradisce le sue stesse origini.

Festa della donna: un rituale vuoto che ormai tradisce le sue stesse origini

Rosalind Franklin, mentre decodificava la struttura del DNA, sicuramente non immaginava che il contributo femminile alla scienza sarebbe stato “onorato” con spritz a metà prezzo e smalti in omaggio.

Parliamoci chiaro: l’8 marzo è diventato un insulto alla sua stessa ragion d’essere. Una giornata nata sulle ceneri di lotte operaie si è trasformata in un carnevale consumistico che fa più comodo alle catene commerciali che alle donne reali.

La provocazione è semplice: aboliamola, questa giornata

Non per negare l’importanza delle battaglie femminili, ma perché è diventata un alibi collettivo. “Abbiamo fatto la nostra parte, abbiamo regalato fiori gialli, possiamo tranquillamente tornare a ignorare la disparità salariale per altri 364 giorni.

Ciò che serve è un riconoscimento quotidiano, costante, del valore femminile

Non un giorno, ma tutti i giorni. Anzi, più volte al giorno. Ogni volta che una decisione viene presa, ogni volta che un merito viene riconosciuto, ogni volta che un’opportunità viene offerta. Il vero rispetto non si dimostra con celebrazioni annuali, ma con azioni concrete che permeano ogni aspetto della società.

Oggi i feed social sono invasi di post melliflui sulla “forza femminile” scritti dagli stessi uomini che interrompono sistematicamente le colleghe durante le riunioni. O di aziende che, dopo aver condiviso immagini di “empowerment femminile”, mantengono consigli d’amministrazione esclusivamente maschili.

Le quote rosa? Un cerotto su una ferita che richiede chirurgia

Se il sistema è così profondamente distorto da necessitare imposizioni di legge per garantire rappresentanza, forse dovremmo interrogarci sul sistema stesso, non limitarci a manipolarne gli effetti.

Cosa penserebbero Ada Lovelace o Marie Curie di questa pantomima?

Lovelace, che nel 1843 creò il primo algoritmo informatico della storia, anticipando di un secolo l’era dei computer. Curie, che rivoluzionò la fisica con la scoperta della radioattività e del radio, diventando l’unica persona a vincere Nobel in due discipline scientifiche diverse.

Donne che non hanno chiesto “giornate” o “quote”, ma solo il diritto di mettere il proprio genio al servizio dell’umanità. Che non hanno atteso permessi, ma si sono imposte con la sola forza dell’intelletto.

Criticare questa celebrazione svuotata non significa minimizzare il problema

Le discriminazioni persistono, la strada verso l’uguaglianza resta lunga e accidentata. È proprio per questo che ridurre tutto a fiori e prosecco risulta un insulto alla gravità della sfida ancora aperta.

Le giovani donne di oggi non meritano di crescere in un mondo che dedica loro un giorno per ignorarle nei restanti. Non dovrebbero dover “dimostrare” di meritare spazi che dovrebbero essere naturalmente accessibili.

Non dovrebbero essere considerate “eccezionali” quando eccellono, come se fossero anomalie statistiche.

L’8 marzo dovrebbe fare la fine del fax: uno strumento che è servito al suo scopo e che ora, anacronistico, deve lasciare spazio a qualcosa di più efficace. Non celebrazioni simboliche, ma strutture sociali ripensate. Non “donne eccezionali”, ma persone valutate indipendentemente dal genere.

Finché continueremo a trattare la parità come un evento da calendario, non la otterremo mai davvero.

È tempo di chiedere più che mimose; è tempo di pretendere un cambiamento sostanziale. E se questo significa rinunciare a un aperitivo scontato una volta all’anno, è un sacrificio che la società può certamente permettersi.

Roberto Riccardi