Dopo Mahmood rinuncia al Concertone di Capodanno di Roma anche Mara Sattei. "Ma sono davvero artisti?" si chiede Roberto Riccardi
Dopo Mahmood anche Mara Sattei ha deciso di non prendere parte al concerto di Capodanno di Roma per solidarietà alla esclusione di Tony Effe. In poche parole, a due settimane dall’evento promosso dal Campidoglio al Circo Massimo, si rischia di restare senza artisti e di dover annullare l’appuntamento.
Certo, per il Comune di Roma la posizione unanime di Mahmood e di Mara Sattei contro quella che considerano una “censura”, è un grosso smacco. Per Alessandro Onorato, assessore ai Grandi Eventi, è una bomba atomica esplosa lungo il suo sentiero politico che, si dice, avrebbe potuto portarlo addirittura alla possibile candidatura a sindaco nelle amministrative 2026.
I pareri sulla vicenda sono contrastanti. C’è chi sostiene sia solo una provocazione, chi una forzatura è chi, più severo, chi pensa sia stata sbagliata la scelta del cast. Abbiamo chiesto a Roberto Riccardi, giornalista esperto nonché Commisario UDC di Roma, di pubblicare per canaledieci una sua opinione.
“Sento il dovere di esprimere una posizione chiara su questa vicenda che ha creato tanto clamore mediatico. E partiamo dai fatti, ovvero dai testi di Tony Effe al centro della controversia. Leggiamoli insieme:
“Ti sputo in faccia solo per condire il sesso / Ti chiamo ‘puttana’ solo perché me l’hai chiesto / Ti sbavo il trucco, che senza stai pure meglio / Ti piace solamente quando divento violento”.
E ancora: “Lei la comando con un joystick / Non mi piace quando parla troppo / Le tappo la bocca e me la fotto”. Per finire: “Serve una che mi succhi il cazzo per il 14 febbraio / Fallo forte, poi piano, poi forte, non dirmi ‘Ti amo’ / Fai capire che sei tutta porca da come lo tieni”.
Di fronte a questi testi, il Sindaco di Roma non ha commesso un errore nel chiedere un passo indietro a Tony Effe ma il suo errore è stato a monte, nell’averlo invitato in primo luogo per un evento pubblico finanziato dai cittadini.
Queste non sono semplici provocazioni artistiche o espressioni di creatività musicale. Sono l’esplicita celebrazione della violenza contro le donne, ridotte a oggetti da comandare e umiliare. Non si tratta di censura, come sostengono Mahmood e altri artisti, ma di responsabilità istituzionale.
Un conto è la libertà artistica nel mercato privato – dove ognuno può produrre e consumare la musica che preferisce – un altro è dare un palco pubblico, pagato con fondi pubblici, a contenuti che normalizzano comportamenti violenti e degradanti.
La solidarietà mostrata da altri artisti, seppur comprensibile nell’ottica della libertà espressiva, rischia di confondere due piani ben distinti: il diritto di esprimersi liberamente e il dovere delle istituzioni di promuovere valori civici fondamentali, tra cui il rispetto della dignità umana.
In un momento storico in cui la violenza di genere è una piaga sociale drammaticamente attuale, le istituzioni hanno il dovere di essere inequivocabili nel condannare ogni forma di violenza, anche quella verbalizzata e messa in musica.
La vera censura sarebbe imporre il silenzio su questi temi. Al contrario, dobbiamo parlarne apertamente, riconoscendo che certe espressioni ‘artistiche’ contribuiscono a una cultura della violenza che non può trovare spazio in eventi pubblici istituzionali”.