Castel di Leva, omicidio di Fabio Catapano: 18 anni all’assassino

Catapano era stato ucciso fuori dalla sua villetta di Castel di Leva centrato da cinque colpi: l'assassino poi si era costituito. Non riconosciuta la premeditazione

Omicidio di Castel di Leva: aveva sparato al vicino di casa centrandolo con cinque colpi, condannato a 18 anni di carcere. Ha potuto beneficiare del rito abbreviato, e quindi di un cospicuo sconto della pena, Giovanni Nesci, l’imbianchino 23enne originario di Soriano Calabro, in provincia di Vibo Valentia, che il 17 luglio di 2020 ha ucciso a Castel di Leva il dirimpettaio Fabio Catapano, 48 anni, ex noleggiatore di auto della zona.

Catapano era stato ucciso fuori dalla sua villetta di Castel di Leva centrato da cinque colpi: l’assassino poi si era costituito. Non riconosciuta la premeditazione

La procura che gli contestava l’aggravante della premeditazione, invece, puntava a una condanna all’ergastolo.

La Corte di Assise, giovedì 9 giugno, ha invece stabilito che l’imbianchino non avesse pianificato l’omicidio del vicino, associandolo a un atto improvvisato, a uno scatto di rabbia.

L’esecuzione era avvenuta in pieno giorno, nello spiazzo davanti al cancello della villetta della vittima.

Dietro quel gesto, forse, un segnale da mandare a qualcuno di più potente o per vendicare la sospetta sparizione di soldi e droga.

Qualche giorni prima, infatti, i due avevano discusso perché l’imbianchino aveva lamentato la sparizione di averi, mai meglio specificati, nella sua abitazione dove viveva assieme ad altri due amici calabresi.

I difensori di Nesci avevano chiesto già in sede di udienza preliminare il rito abbreviato, ma era stato rigettato perché ormai non più previsto per i reati di omicidio aggravato.

I giudici della Corte di Asisse, però, poi hanno fatto cadere l’aggravante della premeditazione e quindi l’imputato ha potuto usufruire lo stesso dello sconto di un terzo della pena.

La madre, il fratello e i figli della vittima assistiti dall’avvocato Ennio Scatà si aspettavano una condanna esemplare per quella uccisione a sangue freddo.

“Rispetto, come ho sempre rispettato, qualsiasi sentenza – ha detto l’avvocato Scatà – Ma ritengo che in questo caso ci fossero tutti gli estremi dell’aggravante della premeditazione e non mi riferisco solo al numero dei colpi sparati, ma alle modalità e ai collegamenti con i giorni precedenti all’omicidio”.

Gli spari

In base a quanto ricostruisce la Procura, erano appena passate le dieci del mattino del 17 luglio 2020 quando Nesci si era presentato sotto casa di Catapano, al civico 76 di via Sparanise.

Il 23enne, per l’accusa, si era piazzato proprio davanti al cancello della villetta del 48enne vicino di casa con cui era andato sempre d’accordo. Un rapporto di buon vicinato, con incontri e cene anche durante il periodo di lockdown, che si sarebbe interrotto all’improvviso.

L’imbianchino avrebbe chiamato per nome la vittima per poi esplodere cinque colpi di pistola con una Beretta calibro 6,35. Il giovane, a esecuzione compiuta, avrebbe lasciato la macchina parcheggiata e sarebbe andato a costituirsi dai carabinieri.

Sotto interrogatorio Nesci aveva riferito di attriti per questioni sentimentali: “Lui pensava che avessi una relazione con sua moglie”. Per la procura un tentativo di depistaggio dai veri motivi dell’esecuzione.

Gli sviluppi delle indagini, però, avevano portato a pensare che il messaggio firmato col sangue sarebbe stato interpretato invece da chi di dovere, a partire da chi avrebbe consegnato a Nesci i soldi per l’apertura di un negozio e forse dell’eroina, poi spariti.

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