Ustica, 40 anni fa la strage dei misteri: 81 passeggeri del volo Itavia morti nell’esplosione del DC9

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E’ il 27 giugno del 1980, una sera d’estate come tante. Un volo carico di famiglie in vacanza passa sopra il cielo dell’isola di Ustica, meta turistica di molti italiani. Ma alle 20.59 il DC-9 IH870 della compagnia Itavia scompare dai radar. L’aereo esplode in volo, con il suo carico di vite umane: 77 passeggeri e 4 membri dell’equipaggio. Tra loro ci sono undici bambini tra i 12 e i 2 anni, e due neonati. Tutti morti, non si salva nessuno. A quarant’anni di distanza ancora non esiste una verità processuale definitiva, su cosa sia successo quel giorno. Oggi però, grazie all’Associazione dei parenti delle vittime, molti dei misteri che hanno circondato per decenni la strage stanno venendo alla luce.

Quarant’anni fa la strage di Ustica: l’aereo civile abbattuto da un missile

Il 27 giugno del 1980 sui cieli di Ustica è andata in scena una delle pagine più nere della Guerra Fredda. Il volo Itavia diretto a Palermo con 81 passeggeri a bordo viene abbattuto da un missile. Il DC9, carico di famiglie in vacanza, esplode in mille pezzi e si inabissa nel Mediterraneo.

Per decenni sulle cause del disastro è calata una coltre di mistero. Una scia di morti ha colpito chi, di turno all’interno degli uffici radar e tra gli ufficiali dell’aeronautica italiana, fosse a conoscenza di cosa era davvero accaduto quella sera, in quel quadrante di cielo tra Ponza e Ustica su cui transitava il volo.

Come ad esempio nel caso di Mario Alberto Dettori, maresciallo dell’Aeronautica militare in servizio alla base radar di Grosseto proprio quella notte. Fu trovato impiccato a un albero nel 1987, ma la famiglia è sempre stata convinta che il suo non fosse stato un suicidio. Come lui sono morti altri addetti ai radar in servizio quella sera, sempre a poca distanza dalla loro testimonianza in Tribunale sulla strage di Ustica.

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Grazie alle indagini dell’Associazione parenti delle vittime si fa strada la verità sui responsabili del massacro

La ricostruzione dell’istruttoria del giudice Rosario Priore, 5000 pagine dense delle risultanze delle nuove indagini, è chiara. Quella sera l’aereo finì in un vero e proprio teatro di guerra nei cieli del Mediterraneo. E secondo il magistrato venne abbattuto da un missile militare sparato da un caccia americano, per colpire il Mig su cui stava viaggiando proprio in quell’area il leader libico Mohammar Gheddafi.

Missile che invece colpì in pieno il volo civile carico di turisti diretti in Sicilia, forse, dicono alcuni esperti, perché l’aereo libico bersaglio degli americani cercava di nascondersi nel cono d’ombra del DC-9.

Oggi, nonostante i ripetuti depistaggi che hanno reso quasi impossibile una condanna definitiva dei colpevoli della strage, la coltre di mistero che ha avvolto la vicenda è meno fitta. Grazie anche all’azione incessante portata avanti dall’Associazione dei parenti delle vittime della strage di Ustica, che ha contribuito a far proseguire le indagini.

Le ricostruzioni più recenti affermano che quella sera Gheddafi stava tornando in Libia dopo un viaggio in Bulgaria, all’epoca Paese satellite dell’Urss. Nel contesto storico del conflitto bipolare tra Stati Uniti e blocco sovietico, l’avvicinamento del leader libico al Patto di Varsavia era un elemento di grave rischio e di minaccia alla stabilità del blocco atlantico.

La ricostruzione del giudice Priore coincide del resto con alcune dichiarazioni sulla strage di Ustica rilasciate da Francesco Cossiga. L’ex presidente della Repubblica aveva affermato che il DC-9 era stato abbattuto da un missile di un caccia Nato, nel corso di un combattimento con il Mig libico a bordo del quale si trovava Gheddafi.

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