Ostia: i ristoratori si preparano alla fase 2

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Il settore della ristorazione è uno dei più colpiti dalla pandemia. L’intero comparto si prepara alla fase 2, che non sarà affatto semplice perchè le regole imposte per garantire la sicurezza dei clienti rischiano di mettere in ginocchio i tantissimi ristoratori del litorale. Abbiamo sentito i ristoratori di Ostia che hanno manifestato tutta la loro preoccupazione, così come lo sono i balneari di Fiumicino che recentemente hanno chiesto la proroga delle concessioni per ripagare i mutui (leggi di più).

Ristoratori di Ostia: “La fase 2 sarà critica”

“La fase 2 è critica per tutti i tipi di ristorazione. – fa sapere Mirko Bizzarri del ristorante Mamaflò di Ostia – I piccoli non possono aprire. Si dice al momento che ci debba essere la distanza di due metri tra un tavolo e l’altro. Non si è ancora ben capito se la distanza inter-personale sia di uno o due metri. Nel caso fosse di due metri, sarebbe impossibile riaprire la ristorazione. Se un metro, sarà comunque difficile.

Sembra che il 18 maggio si possano riaprire le attività, ma nulla è ancora sicuro. – prosegue – Per quanto riguarda il nostro ristorante, il Mamaflò, siamo fortunati perchè abbiamo una struttura di grandi dimensioni. Se prima facevamo 220 coperti, restringendo il numero a ottanta, comunque siamo in grado di lavorare, a differenza purtroppo di altri nostri colleghi ristoratori.

Stiamo lavorando sulle linee a terra,  – aggiunge Bizzarri – per far sì che al momento dell’entrata e dell’uscita ci sia la distanza di sicurezza tra gli ospiti. Inoltre, ci stiamo attrezzando per il settore tavola calda con i numeri per evitare le file. Ci siamo anche attrezzati con il personale consono ad affrontare questo tipo di emergenza. Secondo le disposizioni dovremmo anche ridurre il personale e in merito a ciò chiediamo alle istituzioni come è possibile tutto questo”. – conclude.

“Alla riapertura nella fase 2 potrò utilizzare soltanto sei tavoli. – afferma Andrea Falconi del ristorante “da Andrea” – In questo periodo di lockdown abbiamo preferito chiudere evitando consegne a domicilio per risparmiare i costi di gestione come la corrente. Abbiamo bisogno di un aiuto del Governo per sostenere le spese, qualora riuscissimo ad aprire. I 600 euro sono insufficienti, con quelli non andiamo a coprire neanche la luce e il gas, figuriamoci l’affitto”.

Insomma, la crisi è profonda. Secondo la Fipe-Confcommercio il settore dei pubblici esercizi, che include bar, ristoranti e stabilimenti balneari, ha già perso 30 miliardi di euro, con il serio rischio di veder chiudere definitivamente 50mila imprese e di perdere 300mila posti di lavori.