Data alle fiamme la corona posta sul monumento dedicato alla memoria del pm Mario Amato, ucciso dai Nar il 23 giugno 1980. La segnalazione è scattata nella prima mattinata di venerdì primo aprile in viale Jonio, nel quartiere Montesacro, dove sorge la stele commemorativa, ma l’incendio dovrebbe risalire alla sera precedente, la sera del 31 marzo.
La corona deposta sul monumento in memoria del pm Amato è stata data alle fiamme con la benzina
Sul posto sono intervenuti i vigili del fuoco, che hanno spento le fiamme e hanno poi chiesto l’intervento dei carabinieri.
L’Anm: un gesto esecrabile
A darne notizia la giunta esecutiva dell’Associazione nazionale magistrati del Lazio, Sezione di Roma, con una breve nota in cui ha condannato fermamente “il gesto esecrabile compiuto a sfregio della memoria del magistrato Mario Amato, con l’incendio della corona di fiori posta ai piedi del monumento eretto”. Nessun dubbio sull’origine dolosa: sono state trovate anche tracce di liquido infiammabile.
Della corona sono rimaste solo le basi delle due aste di sostegno. I resti della stele sono stati sequestrati su disposizione della procura.
Un magistrato lasciato solo
Sostituto procuratore della Repubblica di Roma, Mario Amato fu assassinato da due esponenti dell’organizzazione eversiva neofascista Nuclei Armati Rivoluzionari, mentre era titolare di tutte le inchieste sul terrorismo nero nel Lazio.
L’omicidio alla fermata del bus
Era la mattina del 23 giugno 1980, poche settimane prima della Strage di Bologna. Gli venne negata una vettura blindata per le “difficoltà” di fargli arrivare alle 8 del mattino uno degli autisti (che entravano in servizio solo alle 9), Mario Amato non ebbe modo di giungere in sicurezza nel suo ufficio alla Procura, in Piazzale Clodio. Mentre attendeva un autobus alla fermata posta all’incrocio tra Viale Jonio e Via Monte Rocchetta – dove nelle vicinanze è stata posto il monumento ed ora è stata bruciata la corona – fu raggiunto alle spalle da un terrorista nero che gli esplose alla nuca un colpo di rivoltella per poi fuggire su una moto guidata da un complice.