Correva la notte tra il 18 e il 19 Luglio del 64, quando nella zona del Circo Massimo scoppiò un incendio. Tacito racconta nei sui Annali che “ebbe inizio in quella parte del circo vicina al Palatino e al Celio” e ancora “si diffuse impetuoso nelle zone pianeggianti, salì nelle parti alte, poi tornò a scendere in basso, distruggendo ogni cosa, precedendo i rimedi con la velocità del flagello.”
In una calda nottata estiva, nel mezzo di una città quasi interamente fatta di legno, la fiamma cominciò ad ardere e Roma ne uscì distrutta…
L’incendio poteva essere domato ma al contrario si propagò in quasi tutta l’Urbe. Le botteghe e i magazzini vicino al Circo contenevano merci combustibili e il vento fece il resto. Ad aggravare la situazione, i numerosi depositi di legna della zona. Le fiamme furono violentissime.
Qualcuno disse di uomini armati che impedivano ai più di spegnere il fuoco. Altri affermarono di aver visto taluni lanciare fiaccole per alimentare ancor di più la sua furia distruttrice (Tacito). Morirono in molti e interi quartieri dell’Urbe furono rasi al suolo. Tutta la zona tra Colle Oppio, Circo Massimo e il Palatino andò totalmente persa. Si salvarono solamente quattro regioni (quartieri) su quattordici.
E Nerone? Era lui l’imperatore in quel disgraziato anno e fu da subito il principale indiziato per l’incendio. Nel pieno della lotta contro le fiamme, già girava in tutta Roma, di bocca in bocca, la voce secondo la quale l’imperatore si era messo a cantare le vicende della caduta di Troia, osservando l’incendio dal terrazzo del suo palazzo (Tacito). Vale la pena aprire una piccola parentesi proprio sull’imperatore. Chi era Nerone?
Claudio Cesare Augusto Germanico Nerone fu l’ultimo regnante della gloriosa dinastia giulio-claudia. Era figlio di un tale Lucio Domizio Enobarbo e di Agrippina minore, figlia del rimpianto Germanico, l’eroe vendicatore della disfatta di Teutoburgo. Claudio lo zoppo, l’imperatore che si circondava di liberti, l’instancabile amministratore e il “conquistatore” della Britannia lo adottò, rendendolo suo successore dopo aver sposato Agrippina. E fu proprio la madre a regalare il trono al figliolo sbarazzandosi del vecchio Claudio con un bel piatto di funghi avvelenati.
Folle, tiranno, assassino, matricida, perverso, persecutore di cristiani e chi più ne ha, più ne metta. Questi sono stati per secoli gli appellativi di Nerone. Molte delle sue colpe furono commesse in linea di massima da tanti altri imperatori, persino tralasciando i soliti nomi quali Caligola e Commodo. Di sicuro sia Tacito che diversi storici cristiani hanno calcato la mano esasperando la figura di Nerone e regalandone ai posteri un ritratto davvero nefasto.
Eviterei ora di trasformarlo in un santo o in un sovrano “illuminato” ma bisogna ricordare che Nerone fu un imperatore molto amato dalla plebe di Roma per via di alcuni provvedimenti che potremmo definire “popolari”. Per questo andò in odio a senatori e cavalieri da sempre aggrappati con le unghie ai loro privilegi politici ed economici.
Nerone amava suonare la cetra ed esibirsi in pubblico come teatrante o atleta con risultati imbarazzanti. Indirizzò la corte verso quello sfarzo tipicamente orientale in barba ai costumi morigerati degli antenati, vanto della classe dirigente capitolina. Nerone dimostrò alcune eccellenze amministrative e fu persino uno degli imperatori più vincenti di sempre grazie alle campagne militari in Armenia, in Britannia (contro Budicca) e in Palestina (rivolta giudaica). Si fece persino promotore di una spedizione romana alle sorgenti del Nilo.
Bisogna specificare che tra una suonata e una poesia, Nerone non trovò mai il tempo o il desiderio di scendere in campo tra i suoi soldati. Si limitò a nominare noiosamente quel generale piuttosto che un altro. Evidentemente Nerone indovinò le scelte, (ed è un merito), considerando però che in scuderia poteva contare generali del calibro di Vespasiano, Tito, Corbulone e Svetonio Paolino.
Nerone purtroppo era un uomo dal carattere debole e dall’indole labile. Fino a quando rimase controllato a vista dal filosofo Seneca, dal marziale Burro e dalla madre Agrippina fu un discreto imperatore. Nel 62, nessuno di questi tre personaggi era più al fianco di Nerone. Dopo lo scellerato matricidio di Agrippina (59), Nerone si era liberato anche di Burro e di Seneca, cadendo nelle mani di Tigellino, un uomo turpe, divenuto Prefetto del Pretorio.
In quel 18 Luglio del 64, Nerone se ne stava ad Anzio. Volle rientrare subito a Roma appena gli dissero dell’incendio. Arrivò in tempo per vedere la sua Domus Transitoria aggredita e distrutta dalle fiamme. Ordinò di aprire monumenti e giardini per dare riparo agli sfollati. Questa moltitudine disperata fu accolta al Campo Marzio, nel Pantheon, nelle terme e in tutti gli edifici pubblici. Tuttavia nessuno pensò bene dell’imperatore.
Il clima a Roma, già rovente per l’incendio, si infuocò di polemiche, sospetti e maldicenze
Il popolo rumoreggiava contro il proprio principe. Le fiamme divorarono la città per sei giorni secondo gli autori romani, nove in base a studi moderni. Quando tutto sembrava risolto, un secondo grave incendio si sprigionò da alcune proprietà di Tigellino. Per i romani era la prova definitiva della colpevolezza di Nerone e del suo corrotto e manipolatore prefetto.
Il sogno di Nerone era sempre stato quello di ricostruire Roma. Ora poteva farlo. L’imperatore dette il via all’edificazione della tracotante Domus Aurea ma inaugurò anche una serie di provvedimenti e di incentivi economici atti a una migliore e più razionale ricostruzione di quanto distrutto. Fece rimuovere le macerie, stabilendo precise regole per la futura salvaguardia da disastri simili.
Ma serviva un colpevole per l’incendio perché il popolo continuava a sospettare del suo bizzarro regnante. E fu così che Nerone accusò pubblicamente i cristiani. Torturati, crocifissi e arsi vivi, i cristiani pagarono probabilmente una colpa non loro. In tempi recenti, il filologo e teologo tedesco Gerhard Baudy, riprendendo la tesi del latinista Carlo Pascal, ha portato avanti la teoria di una responsabilità diretta di una presunta frangia fanatica cristiana che agì con l’appoggio di una consistente parte del Senato. Ad oggi, gli studiosi propendono più o meno tutti per considerare l’incendio di Roma, frutto di eventi accidentali.
È importante ricordare che circa un anno dopo, nel 65, ben quaranta importanti personaggi della scena politica e militare romana, tentarono di rovesciare Nerone uccidendolo. Una congiura, quella di Pisone, tragicomica e terminata nel sangue grazie soprattutto al solito Tigellino. Quello che sorprende del maldestro tentativo di colpo di stato risiede proprio nell’eterogeneità dei congiurati, appartenenti a tutte classi sociali. Si capisce quanto fosse ormai ai minimi termini la popolarità di Nerone dopo l’incendio di Roma.
Venendo alle fonti antiche, Tacito tenta di mantenersi neutrale pur preferendo ribadire come causa dell’incendio “il caso o la perfida volontà del principe”. Svetonio accusa direttamente Nerone e stessa linea tengono Cassio Dione, Plinio il Vecchio e Flavio Eutropio. La rovina di Nerone fu la comparsa in scena di Tigellino. E nell’incendio di Roma potrebbe esserci la lunga mano del “fedele” e feroce funzionario. Non è un’ipotesi da scartare del tutto.
Note e bibliografia.
- “Storia Romana”, G. Geraci e A. Marcone. Le Monnier Università.
- “Fonti per la Storia Romana”, G. Geraci e A. Marcone. Le Monnier Università.
- “Il libro nero di Roma Antica”, Giuseppe Antonelli. Newton Compton Editori.
- “Nerone”, Roberto Gervaso. Rusconi Editore.
- “Storia di Roma”, Indro Montanelli. Edizioni BUR-Rizzoli.
- Immagini e fotografie tratte da Wikimedia in regime di pubblico dominio.
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