La malattia è di gran lunga il principale evento sospensivo del rapporto di lavoro.
Il lavoratore malato ha diritto di assentarsi e di conservare il posto di lavoro per un tempo, noto come comporto, la cui durata è stabilita dalla legge o dalla contrattazione collettiva.
Durante la malattia il rapporto di lavoro rimane quindi sospeso. L’impossibilità di rendere la prestazione non produce la sua risoluzione; se così non fosse, del resto, si mostrerebbe incompiuta la finalità di protezione di un bene costituzionalmente eletto quale la salute.
Ma il lavoratore lungamente assente per malattia può chiedere di fruire delle ferie maturate e non godute al preciso scopo di sospendere il decorso del periodo di comporto e così conservare il rapporto di lavoro?
La risposta è offerta da una recentissima pronuncia della Suprema Corte di Cassazione, in verità tornata sulla questione della compatibilità tra i due istituti già oggetto di numerosi precedenti.
Ed è una risposta positiva.
Non sussiste una incompatibilità assoluta tra malattia e ferie, ribadisce la Cassazione; il lavoratore può quindi sostituire alla sua perdurante e prolungata malattia la fruizione delle ferie maturate e non godute.
Quella del lavoratore non è tuttavia una facoltà incondizionata.
Alla possibilità astratta di convertire il titolo dell’assenza non corrisponde un obbligo del datore di lavoro di accogliere la richiesta del lavoratore.
Potrebbero difatti sussistere ragioni ostative, legate all’organizzazione dell’impresa, a giustificare un diniego.
Su quest’ultimo argomento la pronuncia spende l’annotazione che più interessa in questo commento.
Nell’esercizio del suo potere di stabilire la collocazione temporale delle ferie equilibrando le esigenze dell’impresa con gli interessi del lavoratore, il datore di lavoro è però obbligato a valutare adeguatamente la posizione del lavoratore proprio perché esposto alla perdita del lavoro con la scadenza del comporto.
Ne deriva allora che il datore di lavoro possa negare le ferie richieste al fine di evitare il superamento del comporto esclusivamente nel caso in cui sussistano ragioni ostative concrete ed effettive.
Insomma, ancora una volta sono in gioco i principi di correttezza e buona fede nell’esecuzione del contratto di lavoro.
Al datore il delicato compito di bilanciare interessi contrapposti.
Avv. Ivano Bracci
Studio Legale Guerriero Ortenzi Bracci
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