Ritenete che un testamento abbia leso la quota di eredità a voi destinata per legge? Avete subito un danno alla salute a causa dell’errata diagnosi di un medico? Pensate che una delibera di condominio difetti dei necessari presupposti di legge e volete impugnarla?
Sebbene l’esperienza vuole, ancora oggi, che nel momento in cui ci si rivolge ad un avvocato invocando la tutela dei propri diritti si brami di farlo davanti ad un giudice, in molti di questi casi l’avvocato dovrà innanzitutto sedarne lo spirito litigioso.
Sono molte infatti le “vicende legali” per le quali il nostro Legislatore obbliga ad un preliminare imprescindibile tentativo di conciliazione dinanzi ad un soggetto diverso dal giudice: il mediatore.
Ebbene, nonostante la procedura di mediazione (extraprocessuale) faccia ormai parte del nostro sistema “giustizia” da oltre dieci anni, spesso se ne ignorano l’esistenza, l’applicazione pratica e le sue conseguenze.
Mentre è ormai a tutti noto che la sempre crescente domanda di “giustizia” dei cittadini è spesso grandemente frustrata dalla endemica situazione di inefficienza dei tribunali italiani, non molti sanno invece che il legislatore non potendo certo limitare la prima (pretesa) ha fortemente inciso sulla seconda (ragionevole durata per il riconoscimento di una pretesa), onerando l’utente interessato – per molti e diversi conflitti – di attivarsi preliminarmente e privatamente, attraverso un percorso “degiurisdizionalizzato”.
La mediazione (civile e commerciale) costituisce infatti solo una delle diverse e distinte “pratiche” di risoluzione alternativa alle controversie (ADR) che il legislatore comunitario in primis (Direttiva 2008/52/CE connotata da un condivisibile animo incentivante) e nazionale poi (con un metodo talvolta impositivo) ha approntato per il cittadino che vuole/deve far valere un proprio diritto.
Al tentativo di mediazione obbligatoria, seppur non esente da luci ed ombre nella sua applicazione pratica, và certamente riconosciuto il merito di costituire una chance per la risoluzione di un conflitto in tempi ragionevoli, efficienti, con costi certamente più contenuti e ove ne ricorrano i presupposti anche con incentivi fiscali.
E sì, perché bisogna ammetterlo: “vantare una ragione”, ma ottenerla solo dopo molti anni e al termine di un farraginoso processo non è un gran risultato; anzi, in alcuni casi non lo è affatto.
La mediazione, al pari degli altri strumenti di risoluzione alternativa delle controversie, per essere apprezzata appieno e per essere davvero funzionale allo scopo dovrebbe – e dovrà – necessariamente essere approcciata colmando quella “lacuna culturale” tutta italiana che, estranea alle logiche dell’accordo lascia sempre il sapore amaro di una “rinuncia a qualcosa”; accogliendola invece con il favore di uno strumento complementare alla causa, adeguatamente efficiente, più rapido ed economico. Come si suol dire: di necessità virtù!
La definizione stessa di mediazione (civile e commerciale) ai sensi del decreto legislativo 4 marzo 2010 n. 28, è infatti l’attività svolta da un terzo imparziale e finalizzata ad assistere due o più soggetti nella ricerca di un accordo amichevole per la composizione di una controversia.
Conoscere gli ambiti per i quali la legge prevede un obbligatorio, preliminare passaggio nelle stanze degli Organismi di Mediazione prima di varcare la soglia del Tribunale (pena la “inevitabile” declaratoria di improcedibilità di un giudizio difformemente azionato) in uno con una maturata consapevolezza che sia proprio la locuzione “accordo amichevole” a suggerire il più funzionale degli approcci da assumere in queste sedi, recano in sé quantomeno l’auspicio che il senso di giustizia di ciascuno possa essere davvero soddisfatto, talvolta anche sacrificando una piccola parte della propria ragione.
Ove così non fosse la mediazione è destinata a fallire prima ancora di averla tentata.
Avv. Vanna Ortenzi