Carabinieri e poliziotti incriminati per fare il loro dovere. Riccardi (UdC): “Mandiamo i magistrati sulle pattuglie”

Si moltiplicano i casi di incriminazione di agenti e carabinieri a favore di persone che commettono reati. La soluzione ci sarebbe: formare i magistrati con un periodo sulle pattuglie di strada

A Milano un ragazzo muore durante la fuga per 8 km su uno scooter per non essersi fermato all’alt ingiunto dai carabinieri che sono indagati per omicidio. A Rimini un carabiniere è indagato per eccesso colposo di legittima difesa: ha sparato e ucciso un egiziano che, dopo aver accoltellato quattro passanti, stava avventandosi contro di lui.

Si moltiplicano i casi di incriminazione di agenti e carabinieri a favore di persone che commettono reati. La soluzione ci sarebbe: formare i magistrati con un periodo sulle pattuglie di strada

E’ forte sui social l’indignazione da parte di chi ritiene che a pagare le conseguenze di chi, cercando di far rispettare la legge e, quindi compiendo il proprio dovere a difesa della pubblica incolumità, debba difendersi per questo nelle aule di tribunale. Rischiando prima la vita, poi le spese legali e, infine, anche condanna e possibile radiazione dal proprio posto di lavoro. Purtroppo è un copione già visto e c’è chi addita la mancanza di senso di realtà da parte dei magistrati che devono giudicare casi del genere.

Il risultato è che, sempre più spesso, i militari e gli agenti di polizia scelgano di mettersi in congedo appena possibile, abbandonando la loro missione.

Nel crescente dibattito sulla sicurezza nelle nostre città emerge sempre più forte un senso di disconnessione tra le aule dei tribunali e le strade dove quotidianamente operano le forze dell’ordine. Da un lato, assistiamo a processi per direttissima che si concludono con pene che la cittadinanza percepisce come inadeguate, specialmente nei casi di recidiva. Dall’altro, vediamo agenti delle forze di polizia sistematicamente indagati per azioni compiute in situazioni di estrema tensione e pericolo per la loro stessa vita. Questo divario sta alimentando una crescente sfiducia dei cittadini nel sistema giudiziario.

La proposta di Roberto Riccardi (UdC)

Ma i giudici sanno cosa succede realmente per strada?” è la domanda che sempre più spesso si sente ripetere, specialmente quando le cronache riportano l’ennesimo caso di un criminale abituale rimesso in libertà o di un agente sotto inchiesta per aver agito in condizioni di emergenza.

La radice del problema potrebbe risiedere proprio nella formazione dei nostri magistrati – è il parere di Roberto Riccardi, Commissario UDC Roma e Città Metropolitana – Attualmente, il percorso che porta alla toga è prevalentemente teorico e accademico, distante dalla realtà operativa che dovranno poi giudicare. È come se chiedessimo a un arbitro di calcio di dirigere partite di Serie A senza aver mai messo piede su un campo da gioco. La soluzione potrebbe essere sorprendentemente semplice: integrare nel percorso formativo dei futuri magistrati un anno di esperienza diretta accanto alle forze dell’ordine. Non come semplici osservatori, ma come parte integrante delle squadre operative, alternando periodi di affiancamento alle volanti con rotazioni tra le diverse unità investigative e operative. Questo periodo di ‘immersione’ permetterebbe ai futuri giudici di comprendere visceralmente le sfide quotidiane delle forze dell’ordine: la tensione di un intervento in una zona ad alto rischio, la frustrazione nel vedere gli stessi volti recidivi, la necessità di prendere decisioni in frazioni di secondo quando la propria vita o quella di altri è in pericolo. L’obiettivo non è quello di creare giudici più indulgenti, ma magistrati più consapevoli. La formazione giuridica rimarrebbe centrale, ma verrebbe arricchita da una comprensione pratica del contesto in cui le leggi vengono applicate. Questo approccio bilanciato garantirebbe l’imparzialità necessaria al ruolo, aggiungendo però quella conoscenza diretta del territorio che oggi spesso manca. L’implementazione di questa riforma potrebbe rappresentare un punto di svolta nel nostro sistema giudiziario. Non si tratta solo di migliorare la formazione dei magistrati, ma di ricucire quello strappo tra giustizia e realtà che sta minando la fiducia dei cittadini nelle istituzioni“.

È tempo di un cambiamento concreto, che parta dalla formazione per arrivare a una giustizia più consapevole e vicina alla realtà quotidiana. Solo così potremo aspirare a un sistema giudiziario che sappia veramente bilanciare il rigore del diritto con la comprensione della realtà operativa, nell’interesse di tutti i cittadini” conclude Riccardi.