Poesia romanesca nei versi dedicati da Nicola Zitelli, lidense di lungo corso, alla ricorrenza della festa di San Martino. Ovvero del patrono della ricorrenza dei cornuti una tradizione antichissima che risale, addirittura, ai ludi dei plebei nella Roma Antica.
Una poesia romanesca autobiografica porta di nuovo sul litorale il premio dialettale dedicato al Santo patrono dei cornuti
Nella prima decade di novembre all’ombra del Colosseo e del Foro romano era tutto permesso. Chi nell’antichità viveva di stenti, magari era vestito di soli stracci e occupava gli ultimi gradini della scala sociale, in quel periodo era libero di prendere a male parole persino i potenti, senza alcuna paura di essere punito. Che fossero senatori o nobili appartenenti alla classe dei cavalieri in una città laica ma ancora molto lontana dalle ingerenze religiose del Vaticano.
Una libertà temporanea e assoluta che trovava declinazione anche nei baccanali e nelle orge di strada più sfrenate. Libertà, dunque, di mettere le corna.
Ed è quello che Nicola Zitelli, 82 anni pluripremiato autore dei versi in dialetto romanesco, ha fatto con la sua ultima poesia dedicata a “le mejo corna” che pubblichiamo in calce a questo articolo e vincitrice del prestigioso premio San Martino 2024. Premio che Nicola si è aggiudicato sette volte, arrivando secondo in altre due edizioni. Un talento indiscusso sottolineato da cinque vittorie e cinque secondi posti anche nel Premio San Giovanni, il più antico di Roma e forse d’Italia nel suo genere così particolare.
“Questa volta -sottolinea Nicola- ho trasformato un fatto privato e autobiografico in qualcosa che potesse tradursi in un messaggio al tempo stesso curioso ma capace di andare oltre la dimensione della banalità della routine. E me la prendo con la morte scrivendo che ‘a st’impunita’, a la Commare secca je rode er chiccherone che je metto le corna… co la vita’. C’è uno stravolgimento in ogni senso del concetto di festa delle corna, ma è anche per questo che la poesia ha vinto il primo premio”.
Un risultato che desta molta ammirazione ma poche sorprese per un autore che da anni riveste, tra l’altro, la carica di consigliere del Centro romanesco Trilussa, un’istituzione molto antica fondata da Giorgio Gioberti che è stato uno dei grandi poeti romaneschi del ‘900 e che ha sede presso i locali dell’antico teatro Rossini in via di Santa Chiara 16 nei pressi del Pantheon.
Un vero tempio della recitazione in chiave dialettale e della lingua romanesca, un palcoscenico in cui si sono esibiti anche Aldo Fabrizi e la Compagnia Stabile di Checco Dutante scrivendo pagine importanti della cultura nazionale e del folklore capitolino.
Ma Nicola Zitelli è autore di altre pubblicazioni. Nel libro “Il Cappello alla rovescia” traccia un profilo inedito di Ostia negli Anni Cinquanta. Con il suo nucleo primario di abitazioni dove le famiglie dei residenti si conoscevano tutte. La porta di casa era sempre aperta con la chiave nella toppa e le generazioni si succedevano per classi studentesche, in cui i compagni delle elementari erano gli stessi che ci si portava dietro sino alle superiori.
“Una cittadina in formato ridotto -sottolinea lo scrittore- una miniatura preziosa rispetto al gigantismo che l’ha stravolta dopo la costruzione dell’aeroporto di Fiumicino e quella dei palazzi di Nuova Ostia. Una realtà esplosa in troppo poco tempo per maturare un’auto riflessione e un diverso modo di concepirsi complice, in questo, una politica comunale che non ci ha aiutato molto e dalla quale non abbiamo tratto grande profitto”.
In arrivo un ricettario poetico sulla cucina giudaico-romanesca
Pregiudizi che non hanno impedito a Zitelli di dedicare proprio alla storia di Roma un altro testo intitolato “Fatti, fattacci, ommini e boiacci” e scritto a quattro mani con Alessandro Palmieri nel quale ognuno dei due autori illustra la romanità antica dal suo punto di vista analizzando personaggi e vicende famose come la decapitazione di Beatrice Cenci o il rogo di Giordano Bruno.
Ma l’anima del poeta, corroborata da tantissimi anni di esperienza, è pronta a partorire un nuovo testo. Si tratta di un ricettario in versi dedicato ai piatti della cucina romanesca e giudaico-romanesca come i carciofi alla giudìa, il tortolicchio e la crostata di visciole e ricotta.
Una produzione feconda che Nicola Zitelli ha coltivato accanto al suo lavoro di antiquario di quarta generazione nella ditta di famiglia dove per oltre quarant’anni è stato uno stimato orientalista specializzato in oggetti provenienti dall’Asia centrale e dal Sud Est Asiatico.
Di seguito i versi della poesia con cui Nicola Zitelli ha vinto il premio San Martino 2024
Le mejo corna!
E’ tanto tempo che me fa la posta: 1)
sbagàscia ne li posti più impenzati, 2)
smìccia de sguincio, co l’ occhi alleprati, 3)
pe còjeme in castagna, a bell’ apposta.
Io me la marco stretta, senza sosta,
come faccio co tanti scostumati 4)
che, bussànno a quatrini e…a l’ addietrati, 5)
minàcciano, co ‘na facciaccia tosta.
Ma, ner mentre che cerca de fregamme,
a ‘sto doppione de la malasorte,
je inzeppo li bastoni in fra le gamme:
je rode er chiccherone, a ‘st’ impunita,
a la Commare secca (ch’ è la Morte)
che je metto le corna…co la vita.
Note:
1)…me fa la posta: mi bracca da presso, in ogni dove.
2)…sbagàscia: si apposta, mettendosi in mostra, ostentatamente.
3)…smìccia..: finge di guardare altrove, ma con la coda dell’occhio, non perde una mossa.
4)…scostumati: gente sfrontata che vive di espedienti, truffatori.
5)…che, bussànno… pretendendo somme non dovute…e reclamando arretrati dovuti a promesse false e inesistenti.