A tredici anni dalla sua scoperta, l’antico porto fluviale di Ostia giace sotto tre metri di sabbia: il progetto prevede venga sommerso di cemento per la base del nuovo Ponte della Scafa
E’ sepolta sotto tre metri di sabbia quella che gli studiosi appena tredici anni fa considerarono “un’opera mastodontica di grande valore”. Una scoperta sensazionale che poteva accendere i riflettori su una storia diversa di Roma e di Ostia che, invece, farà da base per una colata di cemento di dimensioni impressionanti.
Stiamo parlando dei resti del porto fluviale di Ostia scoperti a cavallo tra ottobre e novembre del 2011. Posizionate a levante di Tor Boacciana, a un centinaio di metri, a circa tre metri dalla superficie del terreno agricolo, quei reperti rappresentarono unanimamente una impressionante scoperta archeologica. Si trattava di una parte di ciò che restava del porto fluviale di Ostia, risalente al secondo-terzo secolo dopo Cristo, probabilmente crollato nel quarto secolo per effetto di un terremoto, ipotizzano gli studiosi.
Quelle strutture rappresentavano, a detta degli esperti, l’anello di congiunzione mancante tra l’enormità del porto di Traiano, collocato a circa tre km di distanza a ponente di Ostia, e la cittadina alla foce del Tevere. In quel porto fronte mare (la linea di costa all’epoca era attestata all’altezza di Tor Boacciana) si trasferivano le merci dalle grandi navi alle chiatte che dovevano risalire il Tevere. E non è un caso che sulla sponda opposta, di fianco a via dell’Aeroporto, all’Isola Sacra, a circa 300 metri, siano state recuperate due antiche navi romane, forse usate come spola tra il porto di Traiano e il porto di Ostia.
I tecnici lavorarono a quei reperti per diversi mesi. Nell’equipe c’era anche un’esperta di biodeterioramento dei Beni Culturali proveniente dall’Università di Ferrara, un unicum che sottolinea l’importanza della scoperta.
Quei saggi archeologici facevano parte dei sondaggi preliminari e propedeutici per il progetto del nuovo ponte della Scafa. Oggi, dopo il parere negativo espresso dal Ministero della Cultura, nella nuova conferenza dei Servizi, la dirigenza del Parco Archeologico di Ostia sarebbe orientata a esprimere il nulla osta, invitando i progettisti a osservare interventi di “mitigazione” rispetto all’altezza dei pilastri, che raggiungeranno una quota di 18 metri (come un palazzo di cinque piani).
Nulla da dire, dunque, rispetto alla colata di cemento che tomberà per sempre quei resti cancellando un’opera che potrebbe ancora dire molto del valore di Ostia per la grandezza dell’impero romano? L’associazione “Amici del lungomare” è l’unica che ha obiettato sulla sproporzione del nuovo ponte della Scafa, indubbiamente indispensabile per migliorare i collegamenti tra Ostia e l’aeroporto ma decisamente da rivedere per dimensioni e costi. Un’ostinazione sospetta nel perseguire quel progetto, che l’autorità anticorruzione Anac ha definito ormai lontano da “principi di efficienza e di efficacia, tempestività, trasparenza e correttezza“.
Eppure dal Campidoglio è stata fatta trapelare, in modo non ancora ufficiale, la notizia che la Conferenza dei Servizi ha approvato il nuovo progetto che, attenzione, non costa più 52 milioni di euro ma ben 100. Viene confermato che l’attuale Ponte della Scafa resterà al suo posto ancora funzionante. Chi pagherà questo scempio? Non sarebbe stato meglio costruire un nuovo ponte sul Tevere in zona Dragona per connettere direttamente l’asse via del Mare – via Ostiense con via Portuense – autostrada Roma-Fiumicino?