Dopo quasi cinque anni di restauro torna in bella vista e pronto ad essere ammirato dal grande pubblico l’Apollo del Belvedere, gioiello iconico dei Musei Vaticani scoperto in epoca rinascimentale nell’antica Anzio. Per lo svelamento mancano pochi giorni.
L’Apollo torna in bella vista dopo un lungo restauro: è una delle statue più iconiche delle collezioni pontificie
L’Apollo si potrà ammirare di nuovo ai Musei Vaticani dove è collocato dal Cinquecento. Lo svelamento avverrà martedì 15 ottobre nel Cortile Ottagono.
“Il complesso e delicato intervento di restauro ha restituito all’opera un saldo equilibrio senza pregiudicarne la meravigliosa armonia“, assicurano i restauratori.
La statua è sempre stata collocata nel cortile dei Musei Vaticani dai tempi di Papa Giulio II. Faceva parte della sua collezione privata e quando divenne pontefice lo fece trasportare in Vaticano. Era il 1508.
L’apollo del Belvedere può essere considerato il pezzo numero zero di quella che col tempo diverrà la collezione museale vaticana.
“Di tutte le opere dell’antichità scampate alla distruzione, la statua di Apollo rappresenta il più alto ideale dell’arte, scriveva Johann Joachim Winckelmann (1717 – 1768) il celebre archeologo e storico dell’arte tedesco.
Il progetto di restauro è stato sostenuto economicamente dall’Art Conservation Project 2021 di Bank of America mediante la collaborazione del capitolo Italiano e Internazionale dei Patrons of the Arts in the Vatican Museums e verrà presentato proprio il 15 ottobre, giorno dello svelamento.
La scoperta
La statua venne scoperta ad Antium (l’antica Anzio) nel 1489 tra le rovine di un’antica domus e e subito fu acquisita dal Cardinale Giuliano della Rovere. Divenuto papa con il nome di Giulio II (1503-1513), egli fece trasferire la scultura in Vaticano, dove è attestata in Belvedere fin dal 1508.
La mano e i restauri
All’epoca l’Apollo doveva essere integro, mancante solo della mano sinistra e delle dita della mano destra; tra il 1532 e il 1533 venne eseguito il restauro a opera di Giovannangelo Montorsoli, il quale completò il braccio sinistro, sostituì l’avambraccio destro e integrò la sommità del tronco d’albero sul quale appoggiava così il nuovo braccio.
Il dio Apollo ha appena scagliato una freccia con il suo arco che, originariamente, doveva impugnare con la mano sinistra.
La statua venne realizzata da una bottega copistica che, operante a Roma nei primi decenni del II secolo d.C., replicò un capolavoro bronzeo eseguito in Grecia intorno al 330 a.C. probabilmente dall’ateniese Leochares, uno degli artisti più celebri del tempo, noto anche per aver lavorato al Mausoleo di Alicarnasso, il fastoso sepolcro del satrapo di Caria Mausolo, considerato una delle sette meraviglie del mondo antico.
Il sostegno in carbonio
Le gravi criticità strutturali emerse nel dicembre 2019 hanno imposto un intervento di restauro, orientando verso l’inserimento di un sostegno posteriore in fibra di carbonio ancorato al basamento, soluzione già adottata in precedenza, senz’altro da Antonio Canova quando la statua rientrò da Parigi nel 1816.
L’allora restauro ha offerto l’occasione per sostituire la mano sinistra del Montorsoli con un calco tratto dalla “mano di Baia”, ovvero il frammento di una copia in gesso eseguita in età romana sulla statua originale greca.
Archeologia e novità
Sul fronte archeologico ci sono altre due novità a Roma. Torna visitabile in via straordinaria per quattro domeniche il Santuario siriaco del Gianicolo, l’ultimo sito pagano costruito a Roma.
Il santuario che si trova a Trastevere, alle falde di Villa Sciarra, risale al IV secolo dopo Cristo e venne eretto sui resti di edifici precedenti del I-II secolo d.C nel bosco e vicino alla fonte sacra alla ninfa Furrina, dove Caio Gracco si fece uccidere da un servo nel 121 avanti Cristo.
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Proprio ieri altra conquista per Roma, il Museo Nazionale Tornale dopo più di cent’anni è tornato in possesso del torello di Veio, una statuetta votiva etrusca di incommensurabile valore. Alle spalle del torello una storia di sottrazione e restituzione appassionante.