La praticante avvocata avrebbe ricevuto soldi in cambio di "soffiate": la talpa in procura, però, mai scoperta
Sei anni e mezzo di carcere: è la pena ritenuta giusta per la procura per condannare Camilla Marianera. La Procura di Roma ha formulato la richiesta per la praticante avvocata accusata di corruzione in atti giudiziari per avere ottenuto tangenti in cambio di notizie coperte da segreto istruttorio.
Il procuratore aggiunto Paolo Ielo al termine della requisitoria ha sollecitato inoltre l’invio degli atti per falsa testimonianza in relazione alla deposizione in aula del titolare di uno studio dentistico romano che, secondo l’accusa, avrebbe fornito un finto alibi.
Il procuratore aggiunto ha specificato che nel corso del processo “è stato costruito un alibi falso mentre Marianera era in carcere, un fatto che dimostra che attorno all’imputata c’è una rete di solidarietà criminale”.
La procura ha inoltre chiesto l’attenuazione della misura cautelare in carcere con gli arresti domiciliari.
Il 15 marzo scorso il suo compagno, Jacopo De Vivo, è stato condannato in abbreviato per la stessa accusa a 5 anni di carcere.
La praticante avvocata e il fidanzato all’apparenza una coppia qualsiasi, secondo la procura, in grado però di racimolare atti secretati dagli uffici di piazzale Clodio.
Camila – viene ricostruito – aspira a diventare un’avvocata penalista e nel frattempo si aggiudica una collaborazione in Campidoglio (subito rescisso). Il papà ha avuto guai con la giustizia. Mentre il fidanzato, Jacopo De Vivo, classe ’92, è figlio dello scomparso Peppone ex capo ultrà della Roma con vari precedenti di polizia.
I due fidanzati avrebbero messo in piedi, dal 2021 fino a dicembre, quello che i pm di Roma Francesco Cascini e Giulia Guccione avevano definito un “protocollo criminale”: controllavano su commissione degli indagati, attraverso una “talpa” dell’ufficio intercettazioni, se fossero in corso pedinamenti, intercettazioni telefoniche, ambientali, l’eventuale presenza di gps nelle auto e trojan nei cellulari.
Ma qual è il presunto “funzionario” corrotto? Il suo nome non sarebbe mai emerso. A lui, però, sempre secondo la ricostruzione dell’accusa, sarebbero andate 200 euro a pratica, mentre la coppia ne intascava dai 300 ai 500 per lo più da ultrà e da pusher che chiedevano informazioni top secret.
Il gip Gaspare Sturzo nella misura cautelare che ha portato l’avvocata e il fidanzato in carcere nel febbraio 2023 aveva ricostruito così il modus operandi: “Un modello sistemico che ha dato luogo a regole di condotta ben precise: De Vivo che procaccia i clienti interessati e Marianera che funge da canale di collegamento con il pubblico ufficiale appartenente ai servizi giudiziari della Procura di Roma, con cui ha concluso un patto di corruttela generalizzato dietro la promessa o consegna di non meno di 200euro”.
Ma l’aspirante avvocata è sempre stata ferma sulla sua difesa: “Ho millantato di avere conoscenze, anche in sala intercettazioni, ho ingigantito le informazioni che in realtà avevo preso da internet, anche sul funzionamento del sistema, con la luce verde e rosso, ho trovato la foto sul web”. “
L’ho fatto per procurarmi un bacino di clienti e fare più soldi ma ora se tornassi indietro non millanterei più”, ha ripetuto qualche settimana fa in aula.