Dottor Pet, la sorella di Marco Petrini ai funerali: “Un animo nobile. Ora vivrà in me”

Presenti anche alcuni degli animali curati all'ultimo saluto per il veterinario buono della cittadina dei monti Lucretili

Marco Petrini con la sorella Martina

Tanti amici in chiesa, anche quelli pelosetti. E’ stato un addio toccante quello che oggi (26 marzo) Tivoli ha riservato a Marco Petrini, il veterinario buono, noto sui social come Dottor Pet, il medico che curava gli animali sempre col sorriso, morto a 37 anni per un male incurabile. Dall’altare la lunga lettera dalla sorella Martina: “È vero, Marco non ha potuto fare tante cose, a questo ci penserò io. Lui vivrà in me”.

Presenti anche alcuni degli animali curati all’ultimo saluto per il veterinario buono della cittadina dei monti Lucretili

Qualcuno nella chiesa di San Francesco, la cappella attaccata a Villa d’Este, per affetto e riconoscenza, ha portato anche il proprio cucciolo e persino un molosso. All’uscita del feretro, accolto da centinaia di persone, un lungo applauso.

E’ stato il saluto a un ragazzo morto troppo presto, a un uomo “con un grande cuore“, ironico e autoironico; a un professionista benvoluto che aveva messo al centro della vita l’amore per gli animali.

Petrini lavorava da anni in una clinica di Guidonia, ma la grande notorietà era arrivata con le sue pagine social: “Ti insegno tutto sui tuoi pets con simpatia”, il suo slogan (leggi qui).

Don Flavio Barberi, che ha officiato la messa assieme a don Ciro Zeno, a lui affidava il suo labrador. Ed è salito da Guidonia, dove guida la chiesa del Sacro Cuore e dove il suo amico veterinario lavorava in una clinica, per ricordarlo e rincuorare i genitori Enzo e Giuseppina e la sorella Martina.

In genere – ha premesso don Flavio – non sono abituato scrivere l’omelia se non per momenti e ricorrenze particolari, ma per paura dell’emozione e per il momento gravoso che stiamo vivendo ho preferito scrivere queste righe dopo aver riflettuto e pregato“.

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Il veterinario Marco Petrini, noto come Dottor Pet

Marco aveva una gran voglia di vivere. Che profondità umana, che bella personalità – lo ha ricordato – Marco attraverso i suoi modi giocherelloni, burli, con le sue battute, con la sua gentilezza e simpatia riusciva a entrare nel cuore di tutti donando tanto amore sia alle persone sia agli animali. Era un uomo con un grande cuore.

Marco è stato capace di accogliere la malattia sempre con il sorriso, ha saputo portare la croce fino alla fine non essendo di peso per nessuno anzi riuscendo ad essere autoironico della sua stessa condizione come testimoniano i suoi colleghi, amando e curando con lo stesso amore gli animali“.

Martina, la sorella, per sottolinearne il vuoto lasciato ha premesso “che non ha mai conosciuto un tempo in cui Marco non ci fosse…”.

Il suo saluto una promessa:Lui vivrà in me… Stammi vicino, vedrai che ci divertiremo. Martina ha letto la sua lettera tutta d’un fiato, forse per scongiurare l’emozione, per tenere a freno il dolore. Poi l’ha rilanciata sui social, commovendo tutti.

Mi avete chiesto di pubblicare il discorso scritto per Marco. Spero possa essere di conforto per tutti, soprattutto per chi ha vissuto o sta vivendo il mio stesso dolore“.

La lettera di addio della sorella

Oggi sono qui per raccontarvi una storia. E anche se ho paura di cedere alle emozioni, questo racconto lo devo a qualcuno che, senza dubbio, in questo momento mi starà guardando divertito.

Io e il mio fratellino avevamo un anno di differenza. Lui era il maggiore. Questo significa che non ho mai conosciuto un tempo in cui lui non ci fosse. Insomma, non sono mai stata una figlia unica.

A lui devo la mia cicatrice sulla fronte, a me, lui deve la poca fiducia nel genere femminile. Ogni volta che rompevo qualcosa in casa e mamma ci chiedeva chi fosse stato io rispondevo soddisfatta: “è stato Macco”. Lui immobile e grassottello mi guardava con la faccia interdetta, senza dire nulla.

Da questo potete evincere due cose: il mio essere stronzetta e il suo animo nobile. Sono arrivati gli anni delle scuole, sempre insieme, ricordo i colloqui con i genitori. La maestra diceva a tutti i bambini le stesse cose ma quando arrivava il turno di Marco, con gli occhi luminosi, esclamava soddisfatta: “ha un’intelligenza divergente”.

Credo che quella fosse una delle rare volte in cui il sistema scolastico, incarnato da quella maestra, avesse fatto centro. Si, lui aveva un’intelligenza divergente. Marco era il tipo di persona che ascoltava in classe per poi saperne di più dei professori, insomma, quelli che tutti odiano perché con il minimo sforzo riescono a raggiungere il massimo dei risultati, un po’ come quelli che mangiano senza ingrassare.

Ma questo a Marco non bastava, un disegno, un tema o addirittura una nozione scientifica diventava qualcosa da rielaborare in un modo del tutto personale, condito da sarcasmo, ironia e gradevole cinismo. In lui non albergava alcuna forma di banalità.

Forse è per questo che lo amo così tanto. Dicono che le malattie trasformino le persone ma Marco no, lui non era cambiato, ironizzava anche su quella. Quando ha ricevuto la sua sentenza ha deciso che solo in pochissimi lo avrebbero saputo.

In fondo lui era un professionista, voleva continuare a curare i suoi piccoli pazienti, non voleva che le sue capacità, la sua lucidità o la sua professionalità potessero essere messe in discussione.

Mio fratello non voleva essere chiamato eroe o guerriero per il solo fatto di essere costretto a combattere contro una malattia che non aveva voluto o meritato, lui era un medico veterinario, il più bravo e appassionato, era il dottor Pet.

Per il suo lavoro era pronto a rinunciare ai fine settima, alle feste, ai viaggi. Non riuscivo a capire come una persona potesse sacrificare per un lavoro quello che in fondo è il nostro bene più prezioso, il tempo. Mia madre mi diceva sempre che per lui quella era la felicità. Marco aveva trovato quello che la maggior parte delle persone cercano con tormento per tutta la vita, la propria vocazione.

Quella cosa a cui sei destinato, quella in cui riesci facilmente, quella che ti regala felicità e un senso di profondo appagamento. Insomma, quanti di voi possono dire di averla davvero trovata? Io no. E se pensate che il senso della vita sia l’amore, beh … mio fratello aveva trovato anche quello. Diciamo che, per quanto riguarda questo punto, è partito bene sin dall’inizio.

Marco è cresciuto in una famiglia che lo ha amato profondamente. Mia madre lo ha accompagnato nel suo percorso ogni singolo giorno, fino all’ultimo minuto. Giulia, la sua compagna, lo ha sostenuto e aspettato, forse lo aspetta ancora.

Sapete, tutto questo mi conforta perché, se la vita è un percorso che serve a trovare un senso e a risolvere la propria persona, forse Marco ci ha lasciati con largo anticipo perché quel senso lo aveva trovato, era una persona risolta.

A questo punto penserete, per fortuna che sono irrisolto. È vero, Marco non ha potuto fare tante cose, a questo ci penserò io. Lui vivrà in me, farò quel viaggio in Giappone che avevamo deciso di fare insieme e realizzerò quel piccolo grande progetto che aveva per me.

Giulia, purtroppo per ovvie ragioni non posso sposarti, ma spero che continueremo a prenderci cura l’una dell’altra, per Marco e con Marco.

Se ci pensate le vere star se ne vanno sempre prima, i grandi non devono sopportare il peso della vecchiaia. Allora buona notte fratellino, stammi vicino, vedrai che ci divertiremo“.

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