Tivoli, in carcere per omicidio aggravato il pastore sospettato di aver ucciso la moglie

Il Giudice per le indagini preliminari conferma l’ipotesi accusatoria di omicidio aggravato a carico del marito di Rosa D’Ascenzo

I carabinieri sul luogo di un omicidio. Foto di archivio

Resta in carcere con l’accusa di omicidio aggravato, Giulio Camilli il 73enne di Sant’Oreste, piccolo borgo della provincia di Roma, sospettato di aver assassinato Rosa D’Ascenzo, la moglie 71enne trasportata già morta in ospedale con un’auto nella tarda serata del 1° gennaio scorso. L’uomo, con fare concitato, aveva detto ai medici che la donna era stata vittima di un malore e che era scivolata dalle scale. In realtà la donna era già deceduta da tempo e anche per questo motivo i sanitari avevano immediatamente denunciato il fatto ai carabinieri della Compagnia di Bracciano (leggi qui).

Il Giudice per le indagini preliminari conferma l’ipotesi accusatoria di omicidio aggravato a carico del marito di Rosa D’Ascenzo

Il Giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Tivoli ha infatti accolto la richiesta della Procura della Repubblica che aveva disposto il fermo del pastore. Secondo quanto ricostruito dai militari dell’Arma l’uomo avrebbe ucciso la consorte con un corpo contundente, molto probabilmente una padella rinvenuta in casa della coppia. Il Gip, nell’ordinanza di custodia cautelare in carcere, ipotizza che l’indagato possa essere considerato responsabile del reato di femminicidio commesso per motivi di genere.

Durante l’interrogatorio il 73enne ha affermato di non ricordate neppure i suoi dati anagrafici e di avere un mal di testa tale da non consentirgli neppure di firmare il verbale poi sottoscritto su sollecitazione del suo stesso avvocato difensore. “Appare evidente -scrive il magistrato- la “totale falsità della ricostruzione dei fatti” fornita ai sanitari e poi agli inquirenti. Ricostruzione del tutto incompatibile, tra l’altro, con le ferite ”presenti su tutto il corpo e non solo sulla testa della povera donna”.

Il personale medico, sottolinea il Gip, ha ribadito “l’incompatibilità delle lesioni lacero contuse riscontrate con ecchimosi a ridosso delle mani, delle gambe, del tronco e agli arti superiori” di Rosa D’Ascenzo (sul cui cadavere sono addirittura presenti ”segni riconducibili a morsi”) con l’ipotesi di una sua possibile caduta dalle scale.

Un ulteriore elemento indiziario emerge dalle tracce di sangue trovate nell’abitazione di Sant’Oreste sul “lato esterno della porta di ingresso, su un pezzo di legno trovato all’esterno” e “ancora su un tubo metallico trovato in cucina, su una padella rinvenuta nel corridoio e anche sul frigorifero”.

Rigettata la tesi difensiva dell’incapacità di intendere e di volere dell’uomo al momento del fatto

Il Gip si sofferma poi sulla “personalità inquietante” del presunto colpevole descritto come un “uomo dispotico e a volte violento che viveva in un condizione di totale isolamento dal resto del mondo, litigando spesso con la moglie cui vietava di uscire di casa”.

Per l’uomo si sono così aperte le porte del carcere in cui è stato ristretto non tanto per evitare un’eventuale fuga ma in considerazione della “particolare pericolosità” e di una personalità incline a compiere “azioni di feroce e reiterata violenza” per futili motivi e quindi suscettibili di essere ripetute.

Il grave quadro indiziario di violenza domestica culminato nella morte della donna, sempre secondo il Gip, non sarebbe inoltre riconducibile a una presunta incapacità di intendere e di volere del pastore 73enne così come invece sostenuto dalla difesa, sia sulla base di una “psicosi” priva di concreti riscontri clinici, sia di “una stenosi carotidea preocclusiva asintomatica” refertata dall’Ospedale Sant’Andrea il 7 ottobre del 2020.

Mentre i carabinieri proseguono gli approfondimenti tecnici utili alla ricostruzione delle fasi dell’omicidio si attendono i risultati dell’autopsia disposta sul corpo della vittima.

La Procura sta, inoltre, cercando di verificare se prima del tragico evento fossero emersi “segnali o fattori di rischio tali da consentire di prevenire il femminicidio”.

E ‘opportuno ricordare che nei confronti delle persone indagate o rinviate a giudizio vige, in ogni stato e grado del procedimento penale, la presunzione di innocenza sino alla pronuncia di una sentenza definitiva di condanna nei loro confronti.

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