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Roma, la strage dei pini continua: nel mirino del Comune anche villa Ada (VIDEO)

Pini ancora sani o che potrebbero essere salvati con cure disponibili a basso costo vengono eliminati senza rispettare le normative previste anche a livello regionale

Sono quasi 120 i pini abbattuti o destinati presto a entrare nella lista delle rimozioni in varie aree verdi della capitale. Da ieri sono entrate in azione anche a Villa Ada le motoseghe delle ditte che lavorano per conto del Comune di Roma Capitale. Ma le associazioni ambientaliste e, in cima a queste Italia Nostra, diffidano l’amministrazione dal procedere in modo indiscriminato nei confronti di alberi dal grande ombrello che sono perfettamente sani o che potrebbero essere curati per tempo, tra l’altro con notevoli risparmi per il pubblico erario.

Pini ancora sani o che potrebbero essere salvati con cure disponibili a basso costo vengono eliminati senza rispettare le normative previste anche a livello regionale

Si procede a potature vietate dalle normative regionali, ma non solo, come nel caso del pino abbattuto nelle ore scorse a villa Ada -avverte Francesca Marranghello, consigliere di Italia Nostra Roma- perché vengono fatti abbattimenti lampo senza preventivamente procedere alle verifiche previste per l’individuazione degli alberi da eliminare l’ultimo in ordine di tempo dei quali aveva solo il torto di essere leggermente inclinato. Una condizione -sottolinea l’esponente ambientalista- che, di per sé, vuol dire nulla, se prima non si effettuano le prove di trazione utili ad accertare l’effettiva stabilità della pianta analizzando la tenuta delle radici e condannandola a morte semplicemente sulla base di una perizia eseguita a colpo d’occhio. Ci siamo rivolti anche alla Sopraintendenza da cui il Comune deve ottenere il nulla osta per dare seguito all’intervento e ci hanno detto che, per rifare i vialetti danneggiati del parco bisogna, eliminare per forza le radici. Niente di più retrograde è infatti ormai noto a tutti gli operatori che la tecnologia consente di conservare i grandi alberi facendo i lavori in piena sicurezza. Il problema della pericolosità delle piante ad alto fusto non si risolve certo aggirando i requisiti stabiliti da procedure ormai consolidate e che gli agronomi, in teoria chiamati a supervisionare anche le fasi antecedenti alla rimozione, conoscono perfettamente”.

I pini abbattuti o a rischio di abbattimento sono disseminati in diversi quartieri di Roma, dalla zona della Balduina in via Ravera dove ce ne sono 47,  al X Municipio sia all’Infernetto, su via di Castel Porziano dove i tronchi risultanti dai tagli sono stati, tra l’altro, abbandonati nei canali di drenaggio delle acque (leggi qui), sia nel quartiere residenziale di Casal Palocco, dove Italia Nostra e altre otto associazioni di tutela del verde hanno intimato al Consorzio locale di non procedere, pena la richiesta di un risarcimento danni, alla rimozione di una settantina di alberi sani che ostacolerebbero, a causa delle loro radici, il rifacimento di due importanti strade di collegamento nel centro abitato situato alle porte di Ostia Lido (leggi qui).

Ma l’iter scelto dall’amministrazione capitolina, finita nell’occhio del ciclone per cadute accidentali che hanno messo a serio rischio anche l’incolumità delle persone, sembra a dir poco sbrigativo e, fa notare qualcuno, anche sospetto.

Procedure poco trasparenti e in aperto contrasto con le tecniche di salvaguardia e di manutenzione delle piante fanno spazio alla loro molto più costosa demolizione

Nei condomini, come è accaduto nelle scorse ore in uno stabile situato in via Archimede ai Parioli, i residenti, comprensibilmente presi dalla paura, optano per il pollice verso senza troppi scrupoli sebbene il regolamento del Verde Capitolino sia vincolante anche per i privati che rischiano multe salate, essendo il pino domestico una specie tutelata. Nel frattempo anche le ditte incaricate dal Comune non vanno per il di certo per il sottile visto che si sbarazzano di piante palesemente in buona salute. “Ma se anche queste fossero aggredite da qualche parassita -fa notare Marranghello- sarebbe obbligo previsto a carico dell’ente locale di sottoporle all’endoterapia che, tra l’altro, comporta oneri di gran lunga inferiori a quelli sostenuti per gli abbattimenti i quali superano abbondantemente i mille euro”. La somministrazione di farmaci attraverso infiltrazioni nel fusto è una procedura che è stata unilateralmente sospesa dall’ente locale da un anno e mezzo a questa parte.

Pare, dunque, di assistere a un circolo vizioso ricorrente. La pianta ammalata, priva di cure, avvizzisce e poi muore mentre quelle sane, in aperta violazione del divieto di procedere alle potature dei pini, fatto salvo il taglio delle parti già andate (cd. “rimonda del secco”), come stabilito dalla delibera della Giunta Regionale del Lazio numero 548 del 5 agosto 2021, vengono al contrario sottoposte allo sfalcio di rami ancora vitali temendo, senza fondamento, che possano staccarsi. L’unico risultato di questo genere di interventi è quindi di ridurre la capacità respiratoria del pino, attraverso la fotosintesi clorofilliana delle sue foglie aghiformi, e dopo averlo “spalcato”, di farlo crescere in verticale trasformandolo in una sorta di cipresso che, a quel punto, perde anche le sue prerogative aerodinamiche e di frangimento delle correnti d’aria esponendolo alle forti sollecitazioni esercitate sul fusto dai venti più forti.

L’eliminazione delle piante considerate a rischio crollo genera una serie di profitti

Se la pianta non è curata, oppure viene potata male, ovvero se le sue radici vengono rasate dalle ruspe invece che trattate con un attento lavoro di pala quando si effettuano lavori stradali nel raggio di due metri dal punto di innesto nel terreno, il risultato è sempre lo stesso: il pino muore e a quel punto diventa effettivamente pericoloso. Abbatterlo sembra proprio essere un buon affare, non solo in considerazione di quanto si incassa per rimuoverlo, ma anche perché i suoi rami e le parti segate, pesanti tonnellate, possono essere riciclate come legno di conifera o trasformate in biomasse generando ulteriori profitti.

Per tutte queste ragioni le associazioni ambientaliste sono scese sul piede di guerra e hanno chiesto all’amministrazione di Roma Capitale di rendere note le procedure e le eventuali perizie agronomiche eseguite prima dei vari abbattimenti. Una battaglia senza esclusione di colpi perché, spiega Francesca Marranghello “non è possibile assistere, come è accaduto a Villa Ada, all’abbattimento di un pino sano che non dava fastidio a nessuno e anzi offriva, a chi si fermava presso un chiosco situato nelle vicinanze, il refrigerio della sua ombra e l’effetto balsamico del suo inconfondibile profumo”.

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