“Strange games” ovvero la clownerie al servizio della pace

L’ultima opera di Vladi Olshan al Teatro San Gaspare di Roma suscita risate amare pensando al periodo terribile dell’Umanità tra pandemia e guerra

Vladimir Olshansky Strange games

Sorrisi amari e delicati, costumi geniali e applausi a scena aperta per l’ultima opera di Vladi Olshan, al secolo Vladimir Olshansky, che ieri ha esordito con la sua piccola compagnia al teatro San Gaspare nel quartiere Appio con “Strange games”.

L’ultima opera di Vladi Olshan al Teatro San Gaspare di Roma suscita risate amare pensando al periodo terribile dell’Umanità tra pandemia e guerra

E’ durata sette anni la preparazione dello spettacolo, come sottolinea lo stesso autore e regista, uno dei big mondiali della clownerie. Vladi Olshan, 75 anni, diplomatosi all’Accademia del Circo di Mosca, per oltre un decennio ha lavorato con i maggioni spettacoli circensi degli Stati Uniti. In Italia, a Firenze, nel 1995, fonda Soccorso Clown (dove lavora tuttora), il primo servizio nazionale di professionisti preparati per operare in ospedale.

Come clown è stato guest artist in Alegria e con il Cirque du Soleil in Australia e Canada. Da anni conduce delle master class di clownerie in strutture sia italiane che estere. Ha fondato la compagnia teatrale Art de la Joie (Parigi) ed è autore di un manuale proprio sull’arte della clownerie. Da una dozzina d’anni vive a Ostia.

In “Strange games”, sul palco insieme con il fratello George e con Daniele Guaragna, si sorride, amaramente, delle condizioni che in questi ultimi anni stanno mettendo a dura prova l’ottimismo dell’umanità. Giochi stranieri o stranieri che “giocano”, potrebbe essere ambivalente la traduzione del titolo. Così, gli effetti della pandemia, rappresentati nel quadro in cui una voce automatica impedisce l’entrata e l’uscita da una stanza, fino alla vecchiaia e al trapasso finale, sono resi delicati da una figura tenera, remissiva, assetata di libertà.

“Strange games” ovvero la clownerie al servizio della pace 1
Da sinistra George Olshan, Vladi e Daniele Guaragna

Nella rappresentazione di un ipotetico dittatore che manda alla morte i suoi soldati, assolutamente acritici e servizievoli, ogni sconfitta e ogni sciagura sono auto-premiate con medaglie di latta sempre più grandi e vistose. Una sorta di autoincoronazione di un dittatore che ha il cappello alla Napoleone ma che ricorda in modo inquietante i padroni della guerra di oggi.

E, sempre in tema di guerra, i nemici si abbracciano e non si combattono più quando si ritrovano entrambi mutilati, chi alla gamba chi ad un braccio, unendosi in un commovente quanto emblematico valzer tra fratelli.

Minimale la scena, che è ambientata in un cantiere aperto per lavori in corso (così com’è la vita di tutti i giorni), e assolutamente accattivanti i costumi di arte povera costruiti dallo stesso autore con rifiuti e oggetti del riuso.

Un modo romantico, profondo, che tocca i sentimenti di umanità, quello di Olshansky, un maestro dell’intramontabile arte del clown al quale non serve la voce ma basta la forza dei gesti e dei valori.

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