Roma, il primario Franco Locatelli indagato per il caso della morte di Lisa Federico

La morte di una paziente 17enne, al termine di una delicata operazione, ha spinto il Giudice per le Indagini Preliminari a far riaprire le indagini sulla posizione del primario del Bambin Gesù

La morte di Elisabetta “Lisa” Federico, paziente 17enne deceduta subito dopo un intervento fatto all’ospedale romano del Bambino Gesù, è entrata al centro di un’inchiesta, con il processo che adesso ha portato la Procura a mettere sotto indagine Franco Locatelli, primario proprio presso il nosocomio romano e presidente del Consiglio Superiore di Sanità.

La morte di una paziente 17enne, al termine di una delicata operazione, ha spinto il Giudice per le Indagini Preliminari a far riaprire le indagini sulla posizione del primario del Bambin Gesù

Quel giorno, nel novembre del 2020, la paziente ricevette un trapianto di midollo a seguito del quale è poi morta, con la Procura che subito aveva addossato le colpe ai medici del reparto di cui Locatelli era alla Guida, accusati del reato di omicidio colposo. Ora si entra dunque in una fase processuale delicatissima.

Per il primario inizialmente era stata invece chiesto di chiudere il caso con l’archiviazione, ma nella giornata di ieri, 23 gennaio, il Giudice per le Indagini Preliminari non ha accolto questa istanza ed anzi, ha spinto i magistrati ad indagare ancora in maniera più accurata, per scoprire eventuali responsabilità in capo a Locatelli stesso, in quanto il Gip si è detto dubbioso che il Primario in questione sia stato messo all’oscuro delle decisioni prese dai medici nell’attuare il trapianto.

Locatelli, dunque, per il Gip doveva per forza sapere cosa stesse accadendo, dato il suo ruolo apicale all’interno dell’ospedale.

Al termine del trapianto, la 17enne era poi stata sottoposta a chemioterapia e si era rapidamente aggravata, sviluppando un’infezione letale.

Dubbi dunque da parte dell’Autorità Giudiziaria sulle pratiche sanitarie adottate, ritenute a tratti approssimative e senza un piano terapeutico adeguato, come invece prescritto in casi di trapianto di midollo osseo.

La ragazza rimase in ospedale a lungo, per 53 giorni, tenendo, secondo l’accusa, la 17enne esposta all’infezione.

Desta forti dubbi per gli inquirenti anche la decisione di uno dei medici di adottare un donatore non consanguineo nonostante al tempo fosse disponibile, come donatore di cellule, il fratello della defunta.

La parola ora ad accusa e difesa, per un caso giudiziario che si annuncia davvero assai lungo e complesso e dove non mancheranno i colpi di scena.

Ricordiamo ai lettori che la posizione del soggetto è quella di indagato e le prove si formano nel corso del processo. Fino al terzo grado di giudizio un indagato non può essere considerato colpevole.

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