Uccisero a botte l’uomo che accudivano, coppia diabolica in carcere

La coppia riferì di aver scosso l'uomo per rianimarlo: la vittima invece era stata uccise a botte

Palazzo di giustizia
L'ingresso di piazzale Clodio

Si sono aperte le porte del carcere ieri per una coppia diabolica che nel 2017 aveva ucciso a botte al Trullo un 65enne che la ospitava in casa. I due sono stati rintracciati dalla polizia di Stato appena la condanna è diventata definitiva. Roberto Di Rienzo dovrà scontare 12 anni, Alessandra Casali 7 anni. Erano accusati dell’omicidio preterintenzionale di Vincenzo Fortini commesso, in casa di lui, il 13 maggio 2017.

La coppia riferì di aver scosso l’uomo per rianimarlo: la vittima invece era stata uccise a botte

La coppia aveva riferito di aver scosso animatamente la vittima per rianimarlo, invece, Fortini era stato imbottito con uno psicofarmaco e poi ucciso a botte.

Nessun tentativo di rianimazione, quindi ma anzi colpi al petto e alla testa, fino ad uccidere, è stato ricostruito in anni di processo.

La procura, che all’inizio procedeva per omicidio volontario impiegò mesi per provare la vera ragione della morte di Fortini, un sessantacinquenne del quartiere Portuense affetto da psicosi depressiva cronica, ritrovato rigido e col volto livido in casa.

Per Alessandra Casali e Marco Di Rienzo, ossia la donna che lo avrebbe dovuto accudire e un secondo ospite dell’appartamento di Fortini, ora è arrivato il conto finale della giustizia.

Davanti alla Corte di Assise e nei tre gradi di giudizio non ha retto la spiegazione che l’anziano sarebbe stato solo scosso da loro perché rifiutava con forza la terapia.

La relazione del medico legale ha ricostruito che l’uomo sarebbe stato ucciso la sera prima con colpi violenti, probabilmente calci e pugni, che gli avrebbero provocato lo sfondamento del torace e una emorragia cranica.

La concausa un avvelenamento da psicofarmaci probabilmente somministrati con la forza, considerati i segni sulla bocca e il rinvenimento di pezzetti di carta nei bronchi.

Il pm Mario Ardigò aveva portato a processo anche un terzo indagato, ex marito della Casali, con l’accusa di omissione di soccorso, poi assolto.

L’uomo, infatti, dopo aver conversato con la moglie al cellulare per 18 minuti, come ha scritto il pm, si sarebbe recato nell’abitazione di Fortini e nonostante lo abbia trovato in fin di vita non avrebbe allertato i soccorsi.

L’assurdo movente

Fortini era stato accompagnato il giorno prima al San Camillo con proposta di Trattamento sanitario obbligatorio. Ma nel tardo pomeriggio si era allontanato, aveva preso un taxi e poi, dopo aver fatto visita a dei parenti, era tornato a casa, in via San Pantaleo Campano.

La Canali che abitava da oltre sei mesi nell’appartamento e con la pensione di Fortini, come l’amico Di Rienzo, potrebbe aver avuto uno scatto dopo la lettura del referto del pronto soccorso. Fortini, infatti, avrebbe confidato allo psichiatra di festini “a base di alcol e altre delizie”.

Lo abbiamo pressato solo per somministrargli della Quetiapina, un antipsicotico“, hanno provato poi a giustificarsi i due indagati, fino a ieri mai finiti in carcere. E’ possibile anche che avrebbero voluto impossessarsi dell’appartamento, poi sequestrato.

Di recente un’altra badante è stata condannata in primo grado per aver seviziato e torturato in una villa dell’Infernetto l’anziana che avrebbe dovuto assistere (leggi qui). In questo caso contestato l’omicidio volontario.

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