Omicidio Mollicone, assolto il maresciallo Mottola e gli altri: bagarre in aula

Assolta dall'accusa dell'omicidio di Serena Mollicone la famiglia del maresciallo di Arce: la sentenza però viene contestata fuori e dentro l'aula

Tutti assolti gli imputati del processo per l’omicidio di Serena Mollicone. Per i Mottola, il cui capofamiglia era maresciallo della stazione dei carabinieri di Arce, l’assoluzione è stata riconosciuta per non aver commesso il fatto. Per gli imputati Suprano e Quatrale, militari della stessa caserma, stesso esito ma con la motivazione perché il fatto non sussiste. L’omicidio della diciottenne ripiomba nei cold case.

Assolta dall’accusa dell’omicidio di Serena Mollicone la famiglia del maresciallo di Arce: la sentenza però viene contestata fuori e dentro l’aula

Il tempo della lettura della sentenza e in aula è scoppiata la bagarre. “Vergogna, assassini”. Così i presenti in aula hanno contestato i giudici subito dopo la lettura del dispositivo, il tutto mentre Franco Mottola, il figlio Marco e la moglie Annamaria si abbracciavano emozionati. Il pm aveva chiesto per loro pene da 30 a 21 anni di carcere.

La figlia del brigadiere Santino Tuzi morto suicida si è accodata alle contestazioni: “Sentenza incommentabile. Non è giustizia“.

La verità è ben altra, non ci fermeremo di fronte a questa meschinità“, ha commentato la sentenza Antonio Mollicone, dopo la sentenza della Corte d’Assise del Tribunale di Cassino che ha assolto tutti gli imputati nel processo per l’omicidio della nipote.

I genitori di Marco Vannini in aula

In aula ad assistere il processo oggi anche i genitori di Marco Vannini, il 21enne di Ladispoli, ferito accidentalmente e lasciato morire in casa dalla famiglia della sua fidanzata nel 2015. Per quella vicenda l’intera famiglia Ciontoli (padre, madre e due figli) è stata condannata in via definitiva (leggi qui).

“Era doveroso per noi essere qui, siamo diventati un po’ il simbolo della giustizia italiana perché noi giustizia l’abbiamo avuta e lo stesso meritano Serena e suo padre Guglielmo. I due casi, come detto dal pm, sono simili“, ha commentato la mamma di Marco Vannini.

Un caso durato 21 anni e non chiuso

La sentenza del processo per il caso Mollicone è arrivata dopo 50 udienze, l’ascolto di 137 testimoni e 21 anni di attesa.

La procura aveva chiesto 30 anni per il maresciallo Franco Mottola, 24 per il figlio Marco e 21 per la moglie Annamaria, tutti accusati di omicidio volontario.

La richiesta di pena maggiore per l’ex comandante della stazione dei carabinieri era stata motivata dalla procura per il suo obbligo di garanzia che aveva nei confronti della 18enne perché era in casa sua e per il suo ruolo. Solo per la moglie Anna Maria l’accusa riconosceva le attenuanti generiche.

Sempre proclamata la nostra innocenza. Ce lo aspettavamo“, ha commentato Franco Mottola.

Assoluzione anche per gli altri due imputati: Vincenzo Quatrale, all’epoca vice maresciallo accusato di concorso esterno in omicidio, e l’appuntato dei carabinieri Francesco Suprano al quale era contestato solo il favoreggiamento.

Secondo la ricostruzione della procura il primo giugno 2001 Serena Mollicone sparì da Arce dopo essere entrata nella caserma dell’Arma per recuperare dei libri che aveva lasciato nell’auto di Marco Mottola, dopo che quest’ultimo le aveva dato un passaggio.

A quel punto la ragazza avrebbe discusso con il figlio del maresciallo, che le avrebbe fatto battere con la testa contro una porta. Pochi giorni prima, a scuola la 18enne si era lamentata del fatto che ad Arce il problema della droga non si sarebbe mai risolto ritenendo che lo stesso Marco Marco avrebbe spacciato hashish.

Il corpo venne trovato dopo due giorni, dopo – sempre secondo l’accusa – Serena Mollicone in fin di vita sarebbe stata finita, soffocata, con un sacchetto.

Per quell’omicidio era stato sospettato anche il padre di Serena, Guglielmo Mollicone. Un uomo solo e disperato, morto di recente, dopo aver cercato per vent’anni la verità per la morte della sua unica figlia a cui era legatissimo.

I depistaggi sempre secondo l’accusa sarebbero cominciati dal giorno del ritrovamento del cadavere. Da qui prima i tentativi di far ricadere i sospetti sul papà di Serena e poi sul carrozziere Carmine Belli, finito in carcere da innocente.

Il suicidio del brigadiere

Proprio  Guglielmo Mollicone, però, anni fa aveva raccolto in paese delle voci, in base alle quali il brigadiere Santino Tuzi avrebbe riferito di aver visto entrare Serena in caserma.  Riaperte le indagini, Tuzi confermò ma poi, secondo gli inquirenti perché pressato, si tolse la vita.

“Tuzi è stato l’unico che ha rotto il silenzio ed è stato l’unico che ha pagato con la vita la sue dichiarazioni. Si suicidato perché lasciato solo”, aveva ricostruito il pm Maria Beatrice Siravo nella requisitoria focalizzando l’attenzione sulle cause che avevano spinto il brigadiere dei carabinieri a suicidarsi con un colpo di pistola al petto l’11 aprile del 2008.

Una settimana prima aveva raccontato alla Procura di aver visto Serena Mollicone entrare nella caserma di Arce il primo giugno del 2001, proprio il giorno della scomparsa della diciottenne.

Il sottufficiale dopo le dichiarazioni, secondo la procura, però, era stato abbandonato da amici e colleghi.

“Come il caso Vannini”

Nella stessa giornata l’altra pm del processo, Maria Carmen Fusco, aveva invece specificato una sua conclusionr: “La famiglia Mottola è tutta coinvolta nell’omicidio di Serena Mollicone, così come la famiglia Ciontoli lo era nell’omicidio di Marco Vannini”.

Il calco della Cattaneo

Era stata la perizia di Cristina Cattaneo, l’anatomopatologa più famosa d’Italia e che ha condotto i rilievi sulla salma di Serena, dopo la riesumazione del 2016, a ricollegare il delitto alla caserma, riaprendo le indagini su uno dei più noti cold case del Paese.

La perizia stabiliva una potenziale compatibilità tra il trauma cranico e l’ammaccatura della porta di uno degli alloggi della caserma dei carabinieri che – a parere dell’esperta – anche in un calco realizzato in 3D si incastrava perfettamente. Perizia contestata dalla difesa degli imputati, che, oggi ha avuto ragione. Almeno in primo grado.

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