Incomprensibile decisione della Regione Lazio nonostante la contrarietà dei medici: “Carenze nell’organico insormontabili, al Grassi dovremo chiudere servizi di assistenza”
Il Grassi di Ostia torna all’attività di assistenza ai pazienti covid. E’ di ieri sera la disposizione dell’assessorato alla Salute della Regione Lazio nella quale si sollecita la dirigenza della Asl Roma 3 ad aprire nuovamente dieci posti letto dedicati ai malati da Sars-Cov2 nel Grassi, unico ospedale non attrezzato, insieme con il San Paolo di Civitavecchia, e a sacrificare una parte importante della sua attività all’epidemia.
La disposizione (leggi qui) è stata recapitata ieri sera alla Asl Roma 3 dalla Direzione regionale Salute e integrazione sociosanitaria – Area rete ospedaliera e specialistica ma erano giorni, come avevamo già indicato in questo articolo, che la decisione era nell’aria. Ad opporsi erano stati i responsabili dei diversi reparti dell’ospedale di Ostia segnalando la grave carenza negli organici, la situazione di stress degli operatori in servizio e le criticità strutturali che non garantirebbero il perfetto isolamento dei percorsi covid e non-covid.
E’ la stessa disposizione della Regione Lazio che impone un sovraccarico di lavoro per quegli ospedali “misti” come nel caso del Grassi e del San Paolo. “Gli ospedali sede di DEA (Dipartimento emergenza n.d.r) inclusi nella rete Covid-19 devono prevedere percorsi multidisciplinari per gestire casi confermati con insufficienza respiratoria e patologie concorrenti con interesse medico e chirurgico” indica, infatti, la nota regionale. Ciò significa che vengono raddoppiate le guardie per i tre servizi del Pronto soccorso, della Medicina e della Chirurgia. Una scelta improponibile per ospedali che versano in una cronica carenza di personale medico, come il Grassi, in particolare.
Va detto poi che l’apertura di 10 posti letto covid, che necessitano di isolamento per ogni singola stanza, significa cancellare non meno di 20 letti di Medicina o di altra specialistica: ciò è assurdo per un ospedale come quello di Ostia che serve un bacino di circa 600mila residenti, quindi fortemente sottodimensionato, al servizio dell’aeroporto e con il più alto tasso di trasferimenti ad altri presidi della regione.
Com’è già avvenuto nelle precedenti ondate, data la carenza degli organici al Grassi, sarà necessario coinvolgere i medici e i tecnici delle altre specialità e questo si tradurrà automaticamente nella chiusura di importanti servizi. Tra questi, gli interventi chirurgici programmati e d’elezione. Una drammatica realtà che si tradurrà in un eccesso di mortalità, come lamentano i medici per pazienti trascurati per la lunga epidemia da un territorio decisamente inadeguato in servizi sanitari.
Per questo motivo i medici del Grassi chiedono ai vertici aziendali di fare una scelta netta: fare del Grassi un ospedale tutto covid o interamente non-covid. La coesistenza di entrambe le realtà non solo è onerosa in termini di sacrificio di personale ma, soprattutto, in termini di rischio di contagiosità per l’impossibilità di garantire percorsi differenziati in una struttura che è già attenzionata dal Nas dei carabinieri.