Questa mattina a Latina è scattata l'Operazione Scarface: coinvolto il nuovo sodalizio di matrice mafiosa ed origine autoctona riconducibile al gruppo di etnia rom di Giuseppe di Silvio
Questa mattina a Latina è scattata l’Operazione Scarface: coinvolto il nuovo sodalizio mafioso riconducibile al gruppo di etnia rom di Giuseppe Di Silvio, legato da parentela con il Clan Spada di Ostia.
Da questa mattina, a seguito di indagini dirette dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Roma, agenti della Polizia di Stato, stanno eseguendo un’operazione anticrimine tesa all’esecuzione di 33 misure cautelari: 27 in carcere e 6 ai domiciliari.
I soggetti sono a vario titolo gravemente indiziati di aver commesso reati di associazione di tipo mafioso, associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, estorsione, sequestro di persona, spaccio di droga, furto, detenzione e porto abusivo di armi, reati aggravati dal metodo mafioso e da finalità di agevolazione mafiosa.
L’indagine riguarda il “clan” Di SIlvio riconducibile a Giuseppe Di Silvio detto Romolo, organizzazione strutturata su base familiare e territoriale già protagonista di gravissimi episodi criminali a Latina: il capostipite Giuseppe Di Slvio detto Romolo è attualmente ristretto in carcere dove sta scontando una lunga pena detentiva poiché condannato con sentenza definitiva, insieme al nipote, per l’omicidio di Fabio Buonamano, avvenuto nell’anno 2010.
Nell’ambito dell’inchiesta odierna, è stato, quindi, possibile ipotizzare l’esistenza di un gruppo organizzato di soggetti principalmente dediti all’estorsione ed al traffico illecito di stupefacenti che si è nel tempo sempre più radicato sul territorio di Latina.
Le indagini sviluppatesi mediante intercettazioni telefoniche, ambientali e riprese video, sono state arricchite dal contributo delle dichiarazioni di collaboratori di giustizia oltre che da quelle rese dalle vittime delle numerose estorsioni, alcune delle quali già oggetto di contestazione con l’operazione Movida conclusa nel mese di dicembre, allorquando venivano tratti in arresto altri esponenti di spicco del clan Di Silvio.
Le indagini traggono spunto da alcune spedizioni punitive organizzate nel centro storico di Latina e da richieste estorsive rivolte ad esercenti commerciali, che evidenziavano il tentativo da parte della famiglia Di Silvio di assumere il controllo del territorio in questa parte della città.
Sono state quindi avviate le attività di intercettazione telefonica ed ambientale sul conto del 55enne Giuseppe Di Silvio detto ” Romolo”, il quale impartiva le direttive dal carcere romano di ” Rebibbia” attraverso i suoi fidati familiari.
Emergevano, innanzitutto, una serie di estorsioni realizzate verso imprenditori o anche semplici cittadini, i quali soltanto per la notorietà del nome o la vicinanza degli estorsori alla famiglia Di SIlvio si sarebbero assoggettati alle loro richieste, avendo gli autori fatto valere la forza di intimidazione promanante dalla propria presunta appartenenza alla famiglia della quale è ben nota la caratura criminale e la possibilità di mettere in atto ritorsioni violente, disponendo anche di armi.
Questi episodi estorsivi sembrano evidenziare come la famiglia Di Silvio riesca ancora oggi ad incutere timore, a piegare la volontà delle vittime, in alcuni casi vessate da anni, il tutto senza subire denunce a causa del clima di omertà ingenerato proprio dal terrore che gli appartenenti al clan incutono sulla popolazione.
Nello specifico, sono state riscontrate una serie di attività estorsive messe in atto nei confronti di gestori di ristoranti o commercianti, i quali da tempo sono costretti a sopportare che i predetti indagati consumino pasti gratuitamente oppure fissando il prezzo di acquisto di merce di vario genere, alimentari e capi d’abbigliamento, pagando somme irrisorie autonomamente determinate.
Nella stessa direzione, emergevano poi vicende estorsive collegate alla vendita di sostanza stupefacente ad assuntori fidelizzati, in molti casi cessioni di cocaina studiate proprio per porre il consumatore in uno stato di soggezione, da cui pretendere il pagamento di interessi usurari.
In tale contesto, le indagini permettevano di documentare la commissione da parte del clan Di Silvio di alcuni reati contro il patrimonio che rivelano la vera forza e caratura di questa organizzazione criminale, capace in breve tempo di organizzare e consumare, nel mese di ottobre 2019, un furto all’interno di una sala slot, sita nel centro città, da cui veniva ricavato notevole profitto economico ammontante ad oltre diecimila euro, di cui quattromila in denaro contante.
Nello stesso anno, inoltre, si è verificato il rapimento di uno spacciatore della famiglia Di Silvio, poi divenuto collaboratore di giustizia, che ha lasciato emergere le dinamiche criminali della famiglia.
E’ stato documentato un episodio di particolare rilevanza che ha visto affrontarsi le famiglia Ciarelli e Di Silvio con il rischio di uno scontro armato tra i due gruppi familiari.
Le indagini permettevano di ipotizzare l’esistenza di un’associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti del tipo cocaina, marijuana ed hashish.
Allo stato, le indagini permettono di ipotizzare che dopo l’omicidio consumato ai danni di Ferdinando Di Silvio, detto il Bello, dunque, il ruolo di capo di tale sodalizio sarebbe stato assunto dal fratello Giuseppe DI Silvio, che sembra il punto di riferimento della citata consorteria criminale.
Viene in rilievo, in proposito, il passaggio di un’intercettazione nella quale Giuseppe Di Silvio dice al genero “che deve tenere tutta la città in mano”.
Ricordiamo che gli arrestati vanno considerati indagati, le prove si formulano nel corso del processo e solo dopo il terzo grado di giudizio si possono considerare colpevoli i soggetti oggi indagati.
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