Google e la sua lotta contro le fake news sul cambiamento climatico

L’obiettivo è quello di fermare tutto ciò che contraddice il consenso scientifico consolidato sull’esistenza e le cause del cambiamento climatico

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Google ha iniziato la sua lotta contro la disinformazione sul cambiamento climatico. L’azienda ha annunciato di voler vietare tutte le pubblicità che promuovono dichiarazioni false o fake news sul climate change.

Dal mese di novembre, a chi diffonde contenuti falsi sul suo Google, sarà impedito l’accesso a forme di monetizzazione come gli annunci pubblicitari e il creator payment.

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Lo stop è riferito a tutte le pubblicità che alimentano la disinformazione sul riscaldamento globale e gli impatti del cambiamento climatico.

In questo modo Google diventa la prima grande piattaforma tech a prendere misure drastiche per combattere le fake news sul clima.

L’azienda spiega che l’obiettivo è fermare tutto ciò che contraddice il consenso scientifico consolidato sull’esistenza e le cause del cambiamento climatico. Più nel dettaglio, guadagnare via Google diventerà impossibile per chi produce contenuti che fanno riferimento al cambiamento climatico come una bufala o una truffa e affermazioni che negano che le emissioni di gas serra o le attività umane contribuiscano al cambiamento climatico.

La posizione del colosso Google si basa sull’ultimo rapporto sul climate change del Panel delle Nazioni Unite sul Cambiamento Climatico (IPCC), pubblicato all’inizio di agosto, dove per la prima volta si affermava che esistono prove inequivocabili che il cambiamento climatico sia opera dell’uomo.

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Inoltre la decisione nasce da un’esigenza sempre più pressante: le fake news sul clima sono aumentate negli ultimi 2 anni, da quando il tema è tornato prepotentemente al centro dell’agenda internazionale. Ad oggi la tattica non è più negare frontalmente il climate change, ma sminuirne ruolo e portata, spesso in occasione dei picchi di attenzione del pubblico, che coincidono con eventi climatici estremi come inondazioni e ondate di calore.

A decidere quali tipi di contenuti saranno bloccati dai finanziamenti economici, sarà un misto di strumenti automatici e di interventi umani. Verosimilmente ci sarà una prima scrematura automatizzata e poi i contenuti segnalati saranno esaminati attentamente nel loro contesto, differenziando tra contenuti che sostengono un’affermazione falsa come un fatto, rispetto a contenuti che riportano o discutono tale affermazione.

Sicuramente questa nuova posizione di Google può inaugurare una stagione di “risveglio” dei grandi social, provocando ad effetto cascata una maggiore attenzione al tema delle fake news di tutti gli altri grandi colossi come Facebook e Twitter, dove il dibattito su questi temi è forte.

Ciò nonostante è discutibile se il disincentivo economico che propone la società sia lo strumento migliore per combattere la disinformazione. Infatti, molto spesso chi diffonde questo tipo di tesi sui social, lo fa per un mero credo personale, senza esigenza di profitti particolari ma per il puro piacere di condividere un messaggio non percepito come estremamente dannoso per il lettore disinformato che si lascia ingannare. Dunque Google, ancora una volta, si pone come educatore di masse, come garante di sicurezza e di istruzione per tutti.

 

Alessia Pasotto, dottoressa in Economia dell’Ambiente e dello Sviluppo.

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