Il Direttore del Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia, Dott. Valentino Nizzo racconta quanto vissuto dal Museo negli ultimi mesi, le sensazioni, le emozioni e i progetti in essere per il prossimo futuro.
Il Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia (Etru) fu fondato nel 1889 per iniziativa dell’archeologo e deputato al Parlamento del Regno d’Italia, Felice Barnabei. Nacque per custodire ed esporre al pubblico importanti reperti dell’antichità pre-romana provenienti dal Lazio, dall’Etruria meridionale e dall’Umbria, riconducibili alle Civiltà Etrusca e Falisca.
Cuore della Villa, realizzate come residenza suburbana del Papa, è lo splendido Ninfeo, accessibile dalla Loggia del Giardino Centrale. Assolutamente caratteristica è la riproduzione a grandezza naturale del tempio etrusco-italico di Alatri (III sec. a.C.), fatta realizzare nei giardini tra il 1889 e il 1890 in occasione dell’inaugurazione del Museo. Dal 2012 l’esposizione si è allargata ad alcune sale della vicina Villa Poniatowski, storica dépendance papale.
L’Etru vanta capolavori di assoluto rilievo quali il Sarcofago degli Sposi, l’Apollo di Veio, le Lamine di Pyrgi, la Cista Ficoroni, la Testa di Leucotea, opere che, unite alla vasta collezione di vasellame, armi, utensili e gioielli, rendono Villa Giulia il più ricco e celebre museo etrusco al mondo. L’Istituto è dotato di autonomia speciale. Dal 2017 è diretto dal Dott. Valentino Nizzo, archeologo, etruscologo e studioso di primissimo livello.
Cosa ha provato quando nel maggio del 2017 ha ricevuto l’incarico di dirigere il museo etrusco più importante al mondo?
“È stata un’emozione grandissima. Quando ho iniziato il mio corso di studi mai mi sarei immaginato di dirigere un giorno un museo di tale importanza. Per anni ho collaborato più o meno direttamente e da studioso con l’Etru. Inoltre il mio percorso all’interno del Ministero per i Beni Culturali era già passato per un museo etrusco di livello quale quello di Ferrara. La riorganizzazione promossa dal Ministero ha stupito un po’ tutti. Il Museo di Villa Giulia è stato infatti premiato con l’autonomia.
L’idea di poter dirigere il Museo allo stesso modo del suo fondatore, ben 132 anni fa, era inimmaginabile. Si è tornati a un momento fondante del Museo ma con capacità e potenzialità amministrative e scientifiche che non c’erano in precedenza. Questa nomina mi ha riempito di orgoglio. Ho una grandissima responsabilità nel dimostrare che la competenza può essere una dote assolutamente valida in un contesto nel quale l’aspetto più premiato è quello manageriale. La sfida è proprio quella di unire la conoscenza alla capacità organizzativa.”
Da studioso della Civiltà Etrusca, lei ritiene che gli Etruschi abbiano il giusto riconoscimento della loro importanza storica, soprattutto in ambito scolastico?
“Non lo hanno. La situazione è persino peggiorata rispetto a quando mi sono formato all’Università. Ricordo che la riforma scolastica del 2003 ha relegato lo studio della Civiltà Etrusca soltanto alla Primaria. Il sistema dello studio della Storia è stato riconfigurato: il programma di Storia Antica si conclude nel quinto anno di Primaria. Alle Medie si procede oltre. I più fortunati ritornano sugli Etruschi alle Superiori ma ciò avviene sempre in una forma molto rapida.
Gli Etruschi oltre a possedere un’importanza storica sia in chiave nazionale che europea, hanno rappresentato un punto di contatto importante tra popoli e culture. Erano loro a commerciare materiale greco attraverso rotte che portavano al nord, divenendo il tramite tra le Civiltà del Mediterraneo e quelle dell’Occidente e del Settentrione.
Inoltre rappresentano una delle culture protostoriche che per prime acquisirono coscienza della loro identità attraverso processi di costruzione culturale fondamentali per la comprensione delle dinamiche economiche, politiche e storiche del mondo occidentale. Non studiare il periodo di formazione di queste identità ci impedisce di rapportarci alle dinamiche contemporanee con le giuste valutazioni.”
In questi mesi segnati dalla pandemia con conseguenti chiusure del Museo, lei, con l’apporto dei Social e dei suoi collaboratori, ha promosso una serie di iniziative atte a mantenere vivo il rapporto con l’utenza. Come vi siete organizzati?
“Il fatto di essere uno specialista di quello che il Museo rappresenta, mi consente di fare cose che non tutti potrebbero fare in un museo, ovvero interagire con l’utenza rispondendo a domande specifiche. Si tratta di momenti davvero piacevoli. Le iniziative più belle sono state quelle con i più piccoli; ho fatto in modo che le gite scolastiche virtuali avessero sempre un ampio spazio per le domande e i dubbi di bambini e ragazzi. In generale la nostra attività digitale in questo periodo di chiusure è stata molto apprezzata perché la svolgevamo anche in precedenza.
L’abbiamo migliorata in funzione di quello che immaginavamo fosse il desiderio di chi ci seguiva e non poteva uscire. Non si tratta di una somministrazione di sapere ma di una partecipazione al processo di conoscenza basata sul principio della curiosità. Ho coinvolto tutto il personale che già collaborava alla comunicazione del Museo, convertendo gradualmente le loro attività quotidiane in attività digitali.
Ne è scaturito un racconto corale in cui c’è stato spazio per l’accessibilità, per la didattica, per il racconto delle collezioni non solo con la voce del Direttore ma di tutti. Vorrei sottolineare il ruolo centrale nel piano editoriale del Museo della nostra funzionaria per la comunicazione, Anna Tanzarella.”
Molto seguite e apprezzate sono state le sue “dirette in movimento”…
“Nella prima fase della pandemia, ero uno dei pochi che poteva uscire di casa per recarsi al lavoro. Mi sono sentito un privilegiato ma provavo anche dolore per quel privilegio che avevo. Nel Museo oltre me, era presente il solo presidio di sorveglianza. Ogni mattina e ogni sera attraversavo una Roma deserta. Ho colmato la tristezza attraverso un’opera di condivisione, realizzando alcune dirette mentre percorrevo con la mia auto il tragitto da casa al Museo e viceversa. Ho raccontato Roma.
Cito un estratto di un articolo comparso su una pubblicazione del CNR sui musei al tempo della pandemia. Ogni volta che lo rileggo mi vengono i brividi. “Indimenticabili, nella memoria di chi scrive, sono le dirette nelle quali il direttore Nizzo attraversava una Roma deserta alla guida della propria automobile, lungo percorsi che consentivano il racconto della topografia antica, di storie e aneddoti legati all’archeologia urbana. Insieme al direttore, che condivideva con gli spettatori lo stupore dinanzi a una città deserta e quasi onirica, l’incredulità di percorrere le strade consuete nella metà del tempo, il timore ormai diffuso di essere fermato per un controllo (nonostante tutto accadesse in regola), in quella macchina c’eravamo tutti noi“.
Queste dirette hanno raccolto il consenso di tante persone. Il nostro canale Youtube “Etruschannel” è diventato il secondo per visualizzazioni dopo quello del Museo Egizio di Torino, un risultato per noi straordinario.”
Le chiedo un bilancio emotivo di questo periodo particolare in riferimento alla sua professione…
“L’esperienza legata a questa pandemia è stata l’occasione per farmi comprendere in pieno il concetto di inclusione. Tra le persone che hanno partecipato alle iniziative online del Museo ce ne sono molte che nell’ordinario si trovano nella condizione in cui ci ha gettato il Covid. Non possono uscire o viaggiare a causa di problemi fisici o di salute o per motivi sociali o economici.
La pandemia ha reso i musei inclusivi mettendo tutti noi sullo stesso piano e livello. Si possono studiare gli Etruschi attraverso i reperti o ciò che altri hanno scritto ma è importante dare un senso sociale al nostro lavoro. Tutto quanto sono riuscito a fare l’ho imparato con l’esperienza sentendomi sempre vicino ai desideri delle persone. Non dimenticherò mai queste emozioni.”
Tra le tante testimonianze dell’antichità che il Museo custodisce, c’è un’opera che l’affascina in particolar modo e perché?
“Io sono un etruscologo anomalo. Mi occupo prevalentemente di protostoria, del rapporto tra antropologia e archeologia e della prima colonizzazione greca in Occidente, dunque dei momenti di contatto tra le diverse Culture. Alla luce di tutto ciò, le opere che più mi emozionano sono quelle primitive perché indicano un momento di passaggio e di formazione.
C’è un vaso biconico esposto nella seconda sala. Si tratta di un vaso per ceneri che ha sul corpo la riproduzione plastica di due seni. L’opera allude al contenuto: una giovane donna è morta ed è stata cremata. Il coperchio che doveva alludere alla testa è andato perduto ma questo non mi impedisce di provare forti sensazioni. Dietro questi reperti ci sono persone con i loro sentimenti, desideri, aspirazioni e paure. Osservare e apprezzare ogni oggetto del Museo significa dare voce a chi non c’è più o a chi non ha avuto modo di esternarla.
Per questo il mio lavoro è meraviglioso. Il Sarcofago degli Sposi e l’Apollo di Veio per esempio sono opere che riescono da sole a raccontare la loro storia. Sono capolavori la cui bellezza è universalmente riconosciuta. Quel vaso, quasi perso in una vetrina stracolma di oggetti ha più necessità del nostro sguardo. Esso cela una storia ugualmente importante che va scoperta e apprezzata. Questo è un altro aspetto che mi emoziona sempre tantissimo.”
Cosa possiamo aspettarci dall’Etru nel prossimo futuro?
“Sono prudente nell’organizzare eventi e mostre in quanto il bilancio del Museo è molto risicato. Devo raggiungere i risultati puntando su investimenti di cui non posso pentirmi. La priorità è rappresentata da una serie di cantieri atti ad ammodernare e potenziare la fruizione dei percorsi di accessibilità e la progettazione dell’allestimento. Parlo di illuminazione notturna, di un sistema di videoproiezioni e di percorsi completi di accessibilità.
A questo aggiungo il miglioramento dell’esperienza del visitatore attraverso innovazioni che rendano ancor più godibili le collezioni, già di per sé magnifiche e di assoluto valore e storico-archeologico. Attualmente stiamo organizzando una piccola mostra per far conoscere alcune donazioni di disegni e oggetti che appartenevano al fondatore del Museo, Felice Barnabei.
Continuiamo la nostra iniziativa “Intervallo Etru“: ogni martedì alle 12.00 siamo in diretta sui Social per intrattenere per 10-15 minuti le persone che ci seguono, sempre numerose. Il tempo di una pausa caffè per presentare una sala o una vetrina sempre rispondendo con grande piacere alle domande.
Ricordo la convenzione “Tular Rasnal” grazie alla quale ogni sindaco può regalare ai residenti del proprio Comune, la possibilità di acquistare biglietti e abbonamenti a prezzi ridotti. In tal modo si cimenta il rapporto tra il Museo e il pubblico di prossimità. Sempre operative sono le convenzioni con le Università e nell’ambito delle attività di alternanza scuola-lavoro.
Con la chiusura dei cantieri, in due anni, il volto dell’Etru sarà profondamente cambiato. Vorrei lasciare un Museo proiettato nel terzo millennio; l’intento è raggiungere il massimo livello di attività di ricerca sulle collezioni e sugli archivi, promuovendo nel contempo un’esperienza di visita assolutamente inclusiva, coinvolgente ed emozionale.”
Per approfondire.
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