Chiuso in casa con la sua famiglia per oltre venti giorni, in attesa del risultato del tampone per il coronavirus. È la vicenda paradossale vissuta da un residente di Casal Palocco.
Continuiamo a parlare di emergenza coronavirus. I dati degli ultimi giorni parlano di un impennata di contagi nel Lazio con un evidente aumento nella richiesta del numero dei tamponi. Da Fiumicino a Ladispoli arrivano denunce di lunghe file ai drive in per effettuare i test ma i disservizi non si limitano a questo ma anche nelle lunghe attese per avere il risultato dei test con conseguente obbligo per i sottoposti al tampone di restare chiusi in isolamento.
Un disservizio che rischia di bloccare totalmente famiglie, scuole e aziende, perché un risultato che non arriva non riguarda soltanto la persona che effettua il tampone ma coinvolge a catena colleghi di lavoro, compagni di scuola, aziende e famiglie che rischiano di rimanere bloccate in casa anche per 20 giorni.
È quello che è successo a Massimiliano e la sua famiglia, bloccati a casa per oltre venti giorni perché, dopo aver rispettato la quarantena e effettuato il tampone hanno dovuto attendere altri giorni per avere le risposte ai test, ottenute inoltre con grande fatica.
Massimiliano racconta di aver passato ore al telefono per cercare di avere informazioni: «ormai era diventato un lavoro» racconta.
Lavoro che, secondo Massimiliano, potrebbe essere svolto da tutti quei cittadini che percepiscono il reddito di cittadinanza e in questo momento potrebbero rendersi utili aiutando gli addetti alla segreteria.
Da questo racconto è evidente quanto sia necessario non solo un piano di potenziamento dei drive in ma anche una gestione più snella nella gestione delle risposte. La responsabilità dei tempi di attesa non può certo essere addebitata agli operatori, che da mesi lavorano senza sosta per garantire un servizio efficiente, ma a un meccanismo che a quanto pare non funziona come dovrebbe.
Nel Servizio l’intervista completa.
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